Continua a Modica la Settimana Freiriana 2021, nel centenario della nascita di Freire. Sono le persone che stanno vivendo quest’esperienza, con le loro parole autentiche, a raccontarci i passaggi significativi di questo lavoro di teoria e prassi, la loro partecipazione emotiva e gli apprendimenti che stanno acquisendo.
M., coordinatrice di un’équipe educativa contro la dispersione scolastica di Palermo, ci racconta dell’esperienza dei gruppi di ricerca in cui si raccolgono “le parole dell’altro nella maniera più fedele possibile per non interpretare troppo il messaggio che si vuole comunicare gli altri. Poi si passa a un’ulteriore riflessione, si raccoglie, si analizza, si riflette su quello che si è raccolto.”
Questa è una fase di lavoro analitica, in cui “non si provano particolari emozioni”, come dice A., insegnante precaria calabrese, ma “è un avanzamento perché al terzo giorno di questo lavoro siamo più consapevoli di quello che stiamo facendo anche se c’è ancora un po’ di strada da fare” secondo quanto sostiene G., insegnante di francese trapanese che lavora a Torino. E’ un momento significativo perché, come spiega F., antropologa di Bologna, è una ricerca in cui si impara a dare “attenzione alle parole autentiche delle persone, bloccando il giudizio o la tendenza ad aggiungere un’interpretazione”.
Oltre ai gruppi di ricerca, la settimana freiriana è organizzata in momenti di apprendimento teorico che ieri hanno toccato il tema del dialogo, inteso come “processo maieutico in cui entrambe le persone si pongono delle domande legate al perché delle cose.
Ci sono alcuni tipi di dialoghi che effettivamente inibiscono questo processo, come ad esempio il dialogo che vuole convincerti o in cui si racconta solo di sè e non si dà spazio all’altro. Ci sono altri tipi di dialoghi che permettono invece di esprimere delle contraddizioni all’interno delle quali noi ci troviamo e di cui non sempre abbiamo coscienza e ci fanno percepire i pregiudizi e i miti, ovvero quelle microstrutture che ci ingabbiano e non ci permettono l’anelito a essere di più di cui ci parla Freire” spiega M., appassionato di permacultura che viene da Patti (ME).
“Mi ha colpito il fatto che l’oppressione sia qualcosa che deve essere soggettivamente percepita e non indicata soltanto dallo sguardo esterno del ricercatore: bisogna indagare la percezione che le persone che noi consideriamo oppresse hanno della loro situazione”. A., maestra elementare di Catania, ci dice che questo lavoro le “appartiene molto, sia come concetto che come pratica: per stanare i miti, i pregiudizi, che io chiamo storture o vizi, che abbiamo tutti e che ci conducono a essere meno liberi è necessaria una crescita personale e spirituale che non puoi fare assolutamente da solo”. F., giovane studentessa universitaria di Modica, ci dice: “Emotivamente quello che mi ha smosso di più è stato quello che abbiamo detto sul dialogo, gli atteggiamenti che lo favoriscono e lo bloccano, perchè è stata una messa in discussione notevole. Il dialogo lo faccio tutti i giorni della mia vita, ma mi è venuta in mente tutta quella infinità di momenti in cui credevo di avere avuto un dialogo costruttivo, produttivo, positivo e invece era corrotto dall’inizio”.
Mentre L., antropologa di Bologna, condivide con noi: “la parola che crea mondi è qualcosa che mi appartiene, su cui sto lavorando, quindi ho avuto una bella sensazione di rispecchiamento. Sono interessata, sicuramente, perchè questo discorso aggiunge altri pezzetti, altre nuances. Ma sono anche confusa e in allerta su alcune parti che in qualche modo ho sentito cozzare con il mio background e la mia prospettiva sul mondo”.
Il lavoro e il processo di apprendimento, che si concluderà sabato, è di certo ancora in fieri ed è per questo che A., membro de “Le donne della coperta di Modica” e promotrice di questa esperienza sottolinea che non è possibile ancora “definire se c’è stato avanzamento perchè sto apprendendo adesso. Vedo però chiaramente che da quando abbiamo iniziato fino ad ora c’è una condivisione molto più ampia dei punti di vista rispetto a prima, non solo nei momenti di aula, ma anche fuori dalla parte teorica, nei lavori manuali in cui i gruppi si incontrano e ognuno vede la difficoltà dell’altro. E’ straordinario attraverso questo approccio entrare nella realtà degli altri, sia nel lavoro pratico che con l’ascolto”.
Oltre al lavoro teorico, la Settimana Freiriana è caratterizzata da una sperimentazione continua di quanto appreso. Ieri i partecipanti si sono esercitati sul lavoro del dialogo.
G., docente di lettere a Catania proveniente da Giarratana, ci racconta: “Sono partita a condurre il dialogo secondo la logica della ricerca: faccio delle domande provando a scavare e individuare i blocchi, anche se con altri mondi siamo più capaci di vedere i blocchi mentre con i pari meno. Ho fatto esperienza del fatto che la ricerca è già in sè strumento educativo.
Fare e ricevere domande ha la funzione di tirare fuori e di condurre verso una consapevolezza”. I., di origine spagnola ma che vive a Rimini e lavora a progetti di educazione libertaria, sottolinea come fare un dialogo vero ti permetta di scoprire che “quelle che sono delle verità per noi possono essere viste dall’altro come mito”. A., lavoratore agricolo stagionale trentino, rivela che “la ricerca del mito è stata complicata perchè applicando il metodo con persone con visioni del mondo simili ai nostri è difficile vedere i miti che ci sono dietro le loro parole.
Sarà più interessante utilizzare il metodo con persone molto diverse e in contesti di vita difficili”, mentre C., danzaterapeuta di Modica dice che il dialogo maieutico “è molto efficace, perché facendo domande specifiche si possono scoprire cose che in un dialogo ordinario non emergerebbero. Ci si perde troppo su quello che si pensa, sulle ideologie e convinzioni, meno su quello che è il nostro vissuto”. Per A, insegnante di inglese di Cassibile (SR), “la cosa emozionante è stato il tempo lento, anche con spazi di silenzio in cui era come se l’altra persona scavasse verso un livello più profondo, tirasse fuori altre cose, poi silenzi, diventando sempre più essenziale, più se stessa, scrollandosi di dosso la “maschera”. E’ stato emozionante dare spazio al silenzio e all’ascolto completo, è stato un flusso, è stato magico”.
Ieri, in maniera straordinaria, la serata è iniziata col gioco “il pistolero”, condotto da Greta e Michelangelo, due bimbi di 9 e 5 anni che accompagnano M., architetta che viene da Torino in ques’esperienza. Il fatto straordinario non è solo perché era fuori programma, ma soprattutto perché è stato autonomamente proposto dai bambini che stanno condividendo la vita comunitaria con gli adulti.
Ai momenti teorici e pratici, durante la settimana seguono sempre delle sere in cui vengono proposti collettivamente degli esercizi per esplorare, rafforzare e consolidare il gruppo, utilizzando anche il corpo. D., insegnante di Torino, ci racconta che “ieri la prima cosa che ci hanno chiesto è stata quella di fare silenzio, di abbandonare le parole, non parlare e concentrarci sul nostro corpo.
Abbiamo lavorato sul rapporto fra corpo e spazio, poi abbiamo aggiunto a questo l’incontro e il contatto con le altre persone che poteva essere totalmente fisico o anche di aree di energia senza toccarsi direttamente.
E’ vero che in queste cose in cui tu non devi parlare di te, ma devi esprimerti attraverso il corpo riesci ad essere più te stesso di quando parli e ti presenti con le parole. Spesso è più facile, se ci si lascia andare, conoscersi e conoscere l’altro”. E M.P., giovane liceale di Modica, aggiunge: “Ci siamo conosciuti meglio senza parlare, comunicando con gli sguardi e con il contatto”, mentre F., insegnante di Rimini, confessa sorridendo: “all’inizio disagio, estremo disagio. Poi dopo 1000 sudori freddi ho iniziato a lasciarmi un po’ trasportare dalla circostanza. E’ stato però interessante perché non si parlava e si utilizzava il corpo per esprimersi mentre in questi giorni siamo immersi in fiumi di parole”.
Tutti concordano nel dire di avere tanto appreso, tanto sperimentato, tanto da sistematizzare e riguardare una volta tornati a casa, ma sono ancora incuriositi e felici di sapere di essere immersi dentro un’esperienza significativa.