Attualità

Ragusa, sfruttamento del lavoro in agricoltura e strumenti di contrasto al centro di due mattinate di studio

Progetto ‘Tft – Trasformare la fascia trasformata’, sostenuto da Fondazione con il Sud

Progettare e programmare insieme, può essere uno strumento strategico per attivare duraturi percorsi di
fuoriuscita dallo sfruttamento lavorativo in agricoltura che coinvolge i migranti e che ha criticità, ancora
non riconosciute a fondo, che riguardano le donne.

Alla base però, risulta essenziale la collaborazione di chi opera nel territorio. La conoscenza e l’analisi delle problematiche delle persone che vi abitano, la ricognizione dei punti di forza e debolezza delle filiere, le peculiarità del contesto sociale e abitativo, le esigenze alloggiative e di salute, risultano determinanti per orientare le risorse nazionali ed Europee.

E’questa la sintesi delle due mattinate di studio e approfondimento che Cgil e L’AltroDiritto – partner di
progetto – hanno promosso a Ragusa nell’ambito del progetto ‘Tft – Trasformare la fascia trasformata’,
sostenuto da Fondazione con il Sud e che ha come soggetto responsabile ‘ITetti colorati’ onlus in
partnership anche con la coop.Proxima e con il supporto esterno della Caritas diocesana di Ragusa.  

“Proprio nella nostra attività sul campo – spiega Vincenzo La Monica, coordinatore del progetto – abbiamo cercato di contrastare lo sfruttamento lavorativo mettendo al centro di ogni nostra azione la relazione come agente di trasformazione, in un’area, quella della cosiddetta fascia trasformata, su cui stiamo operando con diverse iniziative”.

Il quadro generale ha evidenziato delle criticità nella normativa vigente, incentrata su definizioni di ‘status’
e non sulla persona.

“I nostri sistemi di accoglienza soprattutto dei migrati vulnerabili, dei richiedenti asilo sono finalizzate a
affrontare uno specifico problema, ovvero protezione internazionale, protezione dalla tratta ad esempio
ma si scorda sempre che come dice l’articolo 2 della nostra Costituzione, ogni essere umano ha una sua
personalità che esplica in relazioni sociali – spiega Emilio Santoro professore all’Università di Firenze -. La
più importante è la famiglia e la maggior parte di queste persone, si lascia alle spalle un mondo di relazioni sociali, figli, famiglia, genitori. Se ci si occupa solo del bisogno di protezione del migrante da una
persecuzione o dallo sfruttatore sessuale, si scordano altri aspetti che sono fondamentali”. Nella
sostanza, si rischia un circolo vizioso. Uno dei pensieri preponderanti del migrante è quello di aiutare la sua famiglia.

“Accade spesso che i migranti lascino il posto di accoglienza assegnato per andare a lavorare,
anche in modo sfruttato, a volte lasciano anche il sistema di protezione perché lo stato di bisogno non è
individuale ma legato alle sue relazioni sociali. E questo è uno dei grandi vuoti del nostro pensare, quello
di non pensare al migrante come una persona a 360 gradi. In questo modo lo stato di bisogno continua a
rendere vulnerabile il migrante che è permeabile allo sfruttamento”.

Per il professor Santoro, privato sociale e enti locali possono essere in grado di attivare iniziative che
permettano alle persone di potere attenuare o annullare lo stato di bisogno e di conseguenza tagliare le
radici che le rendono vulnerabili e a rischio sfruttamento.

Cospicui finanziamenti nazionali ed europei sono previsti per la programmazione 2021-2027 e proprio nel
giusto indirizzamento della progettazione, la presa in carico di un soggetto in difficoltà, pur partendo dalla sua richiesta di protezione, non può prescindere dal’analisi dei bisogni e delle aspirazioni.


“In questo contesto – ha detto la dottoressa Salomé Archain de L’AltroDiritto – abbiamo
incentrato parte di queste due giornate sui fondi e le opportunità di lavoro a livello di co-progettazione e
co-programmazione per interventi di contrasto allo sfruttamento lavorativo e caporalato. Con i
rappresentanti degli enti pubblici e del privato sociale, ci siamo confrontati sulla lettura degli interventi
sociali”. Il fine è non disperdere quanto di buono è stato fatto ma di implementare i contenuti delle
iniziative alla luce delle esperienze maturate, indirizzando l’impegno dei fondi su progetti in grado di
portare effettivo e duraturo cambiamento.

Ed è quel cambiamento che parte dall’analisi dei “fattori di vulnerabilità”, come quelli evidenziati nello
studio delle filiere, in cui tra i temi, “si è posto accento anche sulle violenze di genere a cui le lavoratrici
sono sottoposte nei luoghi di lavoro. Spesso – ha detto l’avvocata Maria Romano L’AltroDiritto –, il carico
genitoriale e di cura le spingono ad accettare condizioni di lavoro abusive e degradanti. Il terzo settore a
livello locale in sinergia con gli enti locali può fare molto”


Sullo studio delle criticità di filiera si è soffermato pure il segretario generale della Cgil Ragusa, Peppe
Scifo. “La nuova programmazione europea che ha messo a disposizione oltre 380 miliardi di euro per la Pac – politica agricola comunitaria – per gli anni dal 2023 al 2027, ha introdotto due temi importanti, la
condizionalità sociale e la sostenibilità. Due requisiti che vincolano la erogazione dei fondi alle aziende al
rispetto delle regole non solo in tema di lavoro ma anche di rispetto di parametri ambientali, sociali e
etici”. Per Scifo, il controllo dei processi in agricoltura in ogni gradino della filiera, con il supporto delle
istituzioni, può determinare una svolta in un ambito, quello dello sfruttamento agricolo in cui anche le
agromafie hanno interessi molto forti. La Cgil nell’ambito del progetto TfT – Trasformare la fascia
trasformata, sta elaborando uno studio proprio sul controllo della filiera agroalimentare i cui risultati
verranno resi noti al completamento.

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Redazione