Attualità

Quando Franco Libero Belgiorno e Ottorino Gurrieri svelarono la magia del Sud-est

( di Giuseppe Calabrese) – Alla fine degli anni ’20 del secolo scorso due giornalisti iblei scoprirono come la cultura fosse
espressione propria di un determinato territorio e riuscisse ad andare ben oltre i confini di natura
amministrativa tra le città, quasi a “parlare” al mondo sul significato universale che possono
assumere il paesaggio, i beni artistici, le tradizioni, i linguaggi di una terra in cui si sono incontrate
civiltà diverse, usi differenti ed abitudini molteplici.

Allora questa “plaga” della Sicilia non era ancora definita Sud-est, ma nei fatti i due giornalisti Franco Libero Belgiorno, di Modica, e Ottorino Gurrieri, di Ragusa, scoprirono ante litteram il fascino proprio di un territorio corrispondente oggi con la Sicilia sud-orientale e soprattutto le sue potenzialità turistiche.

Proprio Belgiorno, appena ventitreenne e già componente della Società di storia patria siciliana, in
un lungo servizio pubblicato il 29 giugno del ’29 su Il Popolo di Sicilia si soffermava sulle grandi
prospettive turistiche di quella parte di territorio compresa tra Monte Lauro, Modica, Ragusa Ibla,
in ragione della loro storia, indicando anche le azioni da mettere in atto per rilanciare quel lembo di
terra.

Usava in più di un passaggio una prosa che spesso assumeva i caratteri di vera e propria
poesia. Il reportage turistico si intitolava “Monte Lauro la vedetta degli Iblei” e nel sommario
anticipava alcuni dei contenuti: “Bellezze ignorate. Le preelleniche Motuca ed Hibla. Le gemme
mediovali. Valorizzazione storico-turistica”.



Belgiorno scriveva con un lessico avvincente: <Lo stradale turistico che conduce al Lauro, cioè
nelle vallate adiacenti si parte da Modica, Questa scia di bianco segue, frammezzo dirupi e
boscaglie, lo stesso cammino degli Iblei, i famosi monti del miele che i più famosi storici antichi
decantarono. Seguiamo adunque questo polveroso cammino – proseguiva nella sua narrazione il
giornalista modicano – che segna in questo oriente siciliano, magico e vetusto, un nuovo periodo di
valorizzazione turistica>, soffermandosi in particolare sul fatto che <qui la strada si ingolfa fra gli
ultimi pendii declinanti degli Iblei, dette Rocche di Modica e rese famose da Edrisi, Cicerone,
Diodoro Siculo, inscritte nella cronaca di Cambridge>.

Fino allo spettacolo unico di Cava d’Ispica: <Come le altre città preelleniche Modica offre al
visitatore – illustrava ancora Belgiorno – la stupenda visione di ruderi d’epoche primitive. Posta su
una delle zone preminenti degli Iblei, su terreno miocenico, si dirada un un’immensa cavea ove le
rocche più elevate, e sono sette come i colli della città eterna, raggiungono i cinquecento metri; i lati
di queste rocche, denudati e franati dalla erosione acquea e dai soventi fenomeni tellurici,
costituiscono una caratteristica speciale e singolare, al di sopra di queste, quasi a compenso di
natura, fertili spianate piene d’alberi feraci s’allungano a distesa, e poi s’avvallano formando
fantastiche fosse, tenebrosi ciglioni e grotte dei sogni>.

Fino ad un accorato appello: <E’ necessario un centro turistico – si chiedeva retoricamente – che
abbia per maggior iscopo la valorizzazione di questo oriente sconosciuto? Ci risponda l’A.S.T.I.S.
(acronimo di Associazione per lo sviluppo turistico in Sicilia, antenata delle più moderne Aziende
del turismo, nata nel 1926 su iniziativa del Banco di Sicilia, n.d.a.) questa organizzazione fiorente
ed importante! L’unica zona finora mecca dei turisti è Città d’Ispica, distante da Modica nove
chilometri>.

E come un fiume in piena Belgiorno ammoniva che <il compito nostro è stato quello
di far conoscere attraverso questa tenue descrizione un paesaggio nuovo, vetusto, singolare>,
facendo presente che <i Consoli Modicani del T.C.I. (Touring Club Italia, n.d.a.) , a stagione
propizia inizieranno le gite alle quali parteciperanno studiosi e dilettanti, archeologi ed artisti>.

Ad esprimere lo stupore che accompagnava la scoperta delle bellezze artistiche e naturalistiche di
quello che in epoca più moderna sarebbe stato il Sud-est fu anche Ottorino Gurrieri, giornalista,
scrittore e storico dell’arte nato a Ragusa, ma poi trasferitosi con la famiglia in Umbria.

In una raccolta di fascicoli dal titolo “Le cento città d’Italia illustrate” pubblicata per i tipi di Sonzogno
Editore nel maggio del 27, Gurrieri , non ancora ventiduenne, descriveva durante il suo viaggio in
Sicilia nel fascicolo n. 291 il paesaggio che si presentava al visitatore. <A pochi chilometri da
Modica, superata l’ultima svolta della strada carrozzabile, appare improvvisamente allo sguardo –
annotava – il panorama suggestivo di Ragusa vecchia e nuova, situata ad oltre cinquecento metri sul
livello del mare>.

Nel suo racconto non mancavano tra l’altro interessanti riferimenti storici sull’origine di Ragusa e
del suo nome: <Crevit Ragusia Hyblae ruinis e delle sue origini gloriose sono testimonianza
superba – ricordava in particolare – le necropoli che tuttora si ammirano. Prima di Ippocrate di
Gela, che nel 491 avanti Cristo assediò Hybla-Herea, non v’è alcuno ricordo di essa>.

Gurrieri si soffermava inoltre sulle trasformazioni subite nel tempo dal nome della città, chiarendo che
<durante l’ultimo periodo della dominazione bizantina , apparisce per la prima volta la
trasformazione del suo nome in Ragusa, forse per la lenta corruzione fonetica della parola Herea,
prima in Ereusa e quindi in Reusa e Ragusa>.


Ma già in quel lontano ’27 emergeva la vena artistica di Gurrieri, che già dal dopoguerra sarebbe
diventato uno dei più noti storici dell’arte dell’Umbria. <Ho potuto visitare a Ragusa Inferiore –sottolineava con orgoglio – il portale di San Giorgio, insigne lavoro quattrocentesco definito dal
Venturi “pagine di poema eroico”; tre tele di Pietro Novelli, il monrealese, conservate nella Chiesa
dei Cappuccini entro il giardino pubblico (oggi Giardini iblei, n.d.a.); il Palazzo Donnafugata (di
cui è oggi è proprietario il cav. Corrado Arezzo Giampiccolo) con un superbo scalone ed una lunga
teoria di splendide sale, decorate con gusto finissimo>. Il giornalista ragusano descriveva inoltre
che <nello stesso palazzo si trovano numerosi candelabri artistici, preziosi vasi greci ed arabi,
terracotte del Bongiovanni, una tavola di Antonello da Messina, un San Paolo eremita dello
Spagnoletto, un Prometeo del Caravaggio ed altri dipinti, in gran parte di scuola veneziana>.

Giuseppe Calabrese

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Redazione