Il “grazie” di Saragat al ragusano Filippo Lupis per l’audace evasione con Pertini da Regina Coeli

( di Giuseppe Calabrese ) – Se il nostro Paese ha potuto avere come Presidenti della Repubblica Giuseppe Saragat e Sandro Pertini lo si deve anche al giovane avvocato di Ragusa Filippo Lupis che contribuì alla loro audace evasione  dal braccio tedesco del carcere romano di Regina Coeli.

I socialisti Saragat e Pertini prendevano parte attivamente alla lotta partigiana a Roma quando il 18 ottobre 1943 furono arrestati dai nazifascisti, condotti nel carcere di via Tasso e successivamente rinchiusi nel sesto braccio di Regina Coeli sotto il controllo delle SS, per essere trasferiti poi, a seguito della condanna a morte, nel terzo braccio in attesa dell’esecuzione. Il piano di evasione, messo in atto la sera del 24 gennaio 1944,  fu ideato dagli esponenti socialisti Giuliano Vassalli (nel 1999 divenne Presidente della Corte Costituzionale, n.d.a.)  e Giuseppe Peppino Gracceva, nome di battaglia “maresciallo Rosso” poi organizzatisi nella Brigata “Matteotti”, con l’aiuto di Massimo Severo Giannini (nel 1979 divenne ministro, n.d.a.) e il capo delle guardie carcerarie di Regina Coeli Ugo Gala.

Sandro Pertini e Giuseppe Saragat tornano a Regina Coeli nel 1978 per un documentario Rai (da www.filodritto.com)

Grazie alla carta intestata ed ai timbri sottratti al Tribunale di Roma di cui Vassalli e Giannini erano stati dipendenti fino all’8 settembre 1943,  fu stilato un falso atto di scarcerazione presentato poi ai tedeschi. Lo stratagemma. che consentì anche l’evasione di altri cinque antifascisti, Luigi Allori, Luigi Andreoni, Carlo Bracco, Ulisse Ducci, Torquato Lunedei (anch’essi condannati a morte), culminò in una telefonata a Regina Coeli con cui il giovane avvocato socialista di Ragusa Filippo Lupis (che lavorò nei primi anni ’20 a fianco di Giacomo Matteotti e di Emilio Zannerini nella segreteria nazionale del Psu, nel link è e intervistato da Gianni Bisiach in un documentario Rai del 10 marzo 1978, n.d.a.) si spacciò per un funzionario della Questura sollecitando la scarcerazione di Pertini, Saragat e degli altri, facendosi precedere nella telefonata da Marcella Ficca, moglie del medico del carcere Alfredo Monaco (vitali per il buon esito dell’evasione, n.d.a.), che si fece passare per la segretaria del questore.

L’epilogo dell’evasione ebbe infine un altro “coupe de theatre” con il successivo trasferimento dei sette fuggitivi nell’alloggio dei coniugi Monaco, che erano anch’essi socialisti e impegnati nella Resistenza con le Brigate “Matteotti”, che rappresenterà un rifugio intermedio sicuro in quanto le SS non avrebbero potuto immaginare che gli evasi sarebbero rimasti per la notte all’interno di Regina Coeli. La signora Monaco rischiò più di tutti una volta che i tedeschi si fossero resi conto delle modalità dell’evasione di Pertini, Saragat e compagni. Ma la donna riuscì a mettersi in salvo  fuggendo con i figli. Rientrata a Roma dopo la Liberazione, nell’aprile  1944, sarà insignita della medaglia d’argento al valor militare.

Le prime due impronte del registro matricolare di Pertini e Saragat (Archivio di Stato di Roma)

Saragat non dimenticò mai la rocambolesca evasione dal carcere di Regina Coeli, che gli consentì di avere salva la vita assieme a Pertini ed agli altri cinque esponenti della Resistenza. Il 6 maggio 1946, in occasione di una sua visita a Ragusa, a poco meno di un mese dal referendum monarchia-repubblica, l’esponente socialista ricordò quell’episodio con parole commosse: <C’è un motivo particolare  di soddisfazione per me – riferì L’Avvenire, organo del circolo socialista “Nicola Barbato” di Catania  nell’edizione del 17 maggio 1946 – per il fatto che mi trovo qui in mezzo ad amici carissimi. Dovrei dare molti nomi, ma mi limiterò ad accennarne uno solo. Ragusa è la città di un compagno al quale sono legato da un grosso debito di riconoscenza; debito che non si estinguerà che con l’estinguersi di quella cosa che gli debbo: la vita>.

Saragat nel 1959 con Filippo Lupis (primo a sinistra), Angelo Giampiccolo (secondo a sinistra) al XII congresso nazionale del Psdi

<Voi ignorate, forse – aggiunse il futuro Presidente della Repubblica –, che è qui presente un amico al quale debbo se posso ancora parlare a voi, se posso ancora parlare ai lavoratori italiani; un compagno che nel periodo della Resistenza ha rischiato la vita per salvare la mia. Questo compagno è Filippo Lupis, che in questi ha visto il suo eroismo coronato da un premio solenne. Egli è stato infatti decorato – sottolineò Saragat – della medaglia al valor militare sul campo per la sua azione di partigiano nella lotta contro il nazifascismo a Roma>. Una medaglia di bronzo sul campo concessa dal Comando militare della “Città aperta” per il contributo dato da Filippo Lupis alla Resistenza d Roma contro l’occupazione tedesca.

Un riconoscimento alla coraggiosa evasione organizzata per liberare Saragat,  Pertini ed altri cinque antifascisti è arrivato il 24 gennaio scorso, in coincidenza con l’80° anniversario dai fatti, dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: <Desidero unirmi con viva partecipazione al ricordo dei coniugi Marcella Ficca e Alfredo Monaco che, insieme ad altri, resero possibile la loro fuga contribuendo così a porre le basi della libertà dell’intero Paese. Il loro esempio di coraggio e lealtà alla Patria costituisce per la Repubblica motivo di riconoscenza per la prova di dedizione ai valori umani e civili della nostra comunità, posti a fondamento della nostra Costituzione>. Al termine di una cerimonia commemorativa svoltasi nella sala conferenze di Regina Coeli, è stata poi collocata all’ingresso del carcere romano una mattonella con il simbolo del carrubo, l’albero della memoria piantato nel giardino dei giusti di tutto il mondo.

La visita di Saragat rappresentò anche una grande occasione di riflessione sul compito del Partito socialista nella libertà appena riconquistata, nella consapevolezza che <è sempre esaltante ammise il leader socialista – trovarsi a contatto di una classe lavoratrice che anche nelle ore più buie è stata fedele agli ideali del Socialismo>. L’esponente del Psi chiarì infatti, in una visione “quasi profetica” come deve essere concepita e vissuta una democrazia : <Noi intendiamo la democrazia come un governo in cui la maggioranza liberamente espressa  in un’atmosfera di libertà ha la responsabilità del potere politico>.

Il resoconto sulla visita di Giuseppe Saragat del 6 maggio 1946 sul foglio catanese L’Avvenire

<Ma se questa condizione è necessaria – aggiunse Saragat  –, non è sufficiente. In un Paese in cui la maggioranza governa, ma la minoranza è oppressa, ebbene, in quel Paese la democrazia non esiste. La democrazia politica non è soltanto un problema di rapporti tra maggioranza e minoranza; è problema di rapporti tra uomo e uomo. Dove questi rapporti sono umani – chiarì –, la democrazia esiste, dove sono inumani la democrazia non esiste. Affinché le civiltà possano sussistere è necessario che ci sia tra gli uomini un denominatore comune di consensi attorno ad un valore universalmente accettato>.

Una riflessione profonda che si tradusse anche in una vera e propria “lezione” sulla libertà,  sul socialismo e sulle prospettive che avrebbe potuto aprire per l’intera collettività. <L’ideale del socialismo è di creare una società di uomini uguali, libera, autonoma – sottolineò Saragat –. Le democrazie moderne, che abbiamo visto decadere o morire negli ultimi decenni, le abbiamo visto morire non tanto in ragione di forze esterne, ma per l’insidia che maturava nel loro stesso seno. Noi socialisti – ribadì il leader socialista – siamo contrari ad ogni forma di totalitarismo, ma la nostra democrazia deve essere libera e nello stesso tempo una democrazia socialista>.

Fino ad un passaggio rivelatore sulla scissione di Palazzo Barberini di pochi mesi dopo, l’11 gennaio 1947, scaturita dal dissenso su un’alleanza organica del Psi, voluta da Pietro Nenni, con il Pci di Palmiro Togliatti. <Noi appunto perché dobbiamo trasformare le basi della società, dobbiamo fare appello – precisò anticipando nei fatti di qualche decennio l’impostazione degli anni ’70 di Enrico Berlinguer sulle alleanze – non soltanto alla  coalizione degli operai, dei contadini, ma dobbiamo fare appello al medio ceto senza il cui apporto vano è sperare di conquistare il potere e, una volta conquistatolo, di trasformare la società. Il socialismo deve allargare la propria anima alla misura dei nuovi problemi che deve risolvere>.

In copertina un frame dell’intervista di Gianni Bisiach a Filippo Lupis nel documentario Rai del 1978  

Giuseppe Calabrese

Emiliano Zannerini, Giacomo Matteotti, Giuliano Vassalli, Giuseppe Peppino Gracceva, Marcella Ficca, Ugo Gala

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