La Commissione Europea ha resa nota la lista dei Paesi il cui deficit pubblico supera, per l’anno in corso, il 3% del Pil e quindi entrano nella cosiddetta “ procedura di deficit eccessivo”.
Trattasi di sette Paesi : Italia, Belgio, Ungheria, Polonia, Malta, Slovacchia e Francia che quindi diventano sorvegliati speciali.
E’ la prima applicazione delle nuove regole fiscale europee che, dobbiamo dirla tutta, non saranno mai così pungenti rispetto a quelle che erano in vigore nel periodo pre- COVID.
A questo punto è doveroso dire che era una mossa ampiamente prevista.
Il confronto con la Francia del deficit pubblico non presenta dati molto distanti: per l’Italia il deficit 2024 si cifra nel 4,4% del Pil e del 4,7 per il 2025 mentre la Francia registra per il 2024 un 5,3% e un 5% per il 2025.
Si evince che l’Italia fa fatto meglio.
Questi dati sopra esposte sono la dimostrazione che la tanta sbandierata grandezza della Francia, secondo il vangelo di Macron, è solo aria fritta oltre che mero narcisismo.
A riprova di questo mio concetto è il comportamento tenuto a Bruxelles – qualche giorno fa – da Macron, in occasione delle nuove nomine, che andranno a guidare per i prossimi cinque anni la “ Barca “ europea, nei confronti delle richieste del governo italiano.
E tutto questo nonostante la pesante sconfitta subita in patria ad opera della Le Pen.
Intanto niente paura, gli squilibri non sono eccessivi, serve solo cautela nella spesa pubblica. Il ministro Giorgetti sa bene che il nostro elefantiaco debito pubblico si cifra in 2.791 miliardi di euro aggiornato a marzo 2024 , quindi sa bene che deve lavorare di fioretto, (come fatto sino ad oggi col Super-bonus) se non vuole perdere la rotta.
Ma per fortuna possiamo dire anche che la posizione del nostro Paese non richiede austerità, almeno ad oggi.
Ora cosa fare?
Nelle simulazioni fatte da più parte ipotizziamo che il nostro governo porti avanti un piano della durata di almeno sette anni.
In questo caso la restrizione sarebbe tra lo 0,5 e lo 0,6% del Pil , cioè 10 e 12 miliardi di euro l’anno per ciascuno dei sette anni.
Inoltre aggiungo che le misure che pesano sui conti pubblici, se sono permanenti, vanno disegnate in modo da evitare distorsioni e inefficienze.
Ma attenzione non è questione di conti.
Le riforme in atto e la difficoltà di far quadrare il “Bilancio” non sono cose da poco.
La Legge – appena approvata – sull’Autonomia differenziata rischia di portare ulteriori difficoltà alle finanze dello Stato italiano.
Badate bene questi non sono problemi che riguardano solo lo Stato ma anche le imprese.
Mi chiedo cosa accadrà alle norme sulla concorrenza che il Pnrr impegna il governo ad attuare annualmente seguendo le raccomandazioni dell’Autorità antitrust? Quando invece il governo discuterà invece della riforma della giustizia ?, e poi si dovrà occupare dei referendum costituzionali, come quello sul <premierato >? Insomma tutti argomenti più importanti del Bilancio dello Stato, ma non per gli imprenditori che devono fare delle scelte che dipendono proprio da ciò che decide lo Stato, al quale versano la quota maggiore del loro margine operativo lordo.
Chiudo questo mio contributo affidandomi alle riflessioni tratte dalle “ Prediche inutili” di un grande italiano, Luigi Einaudi, che così tuona:
<La soluzione si trascina: < il problema, una volta posto, deve essere risolto>; < urge, non si può tardare oltre ad affrontare la questione>. Chi legga queste e simiglianti sentenze pensa: perché il governo, perché il parlamento, perché il ministro competente , tardano tanto? Codesti frettolosi non riflettono: è questo davvero non uno dei tanti, ma il problema ; e come accade che di volta in volta, ogni giorno diversi, tanti siano i problemi urgenti, dei quali la soluzione non può farsi attendere senza danno, anzi senza grave danno? Perché è così lungo l’elenco dei problemi urgenti; e così corto quello degli scritti nei quali sia chiaramente chiarito il contenuto di essi? Come si può deliberare senza conoscere?
Qui habet aures audiendia udiat
S.G.B