La Pira: Quel viaggio a Mosca, in piena Guerra Fredda per far crescere il seme della Pace
L’attualità del momento nel viaggio del Sindaco Santo del 1959, nella ricostruzione di Vincenzo Grienti
Nei giorni in cui a Firenze si parla di Mediterraneo la Russia ha attaccato l’Ucraina. Eppure Giorgio La Pira negli anni Cinquanta tentò di far nascere e crescere il seme della pace.
Un viaggio a Mosca in piena guerra fredda, in volo fino al Cremlino per parlare al Soviet Supremo. Un fatto non solo insolito, ma quasi inimmaginabile negli anni Cinquanta, specialmente se a compierlo era un politico italiano, cattolico e padre costituente: Giorgio La Pira. Con il Professore, così chiamavano La Pira, per via dell’essere stato docente di diritto romano, ci andò il giornalista Vittorio Citterich, caporedattore del Giornale del Mattino di Firenze. Da un lato un cronista, futuro corrispondente Rai da Mosca, dall’altro un cristiano siciliano prestato alla politica. In mezzo un viaggio in Unione Sovietica, oltre la “cortina di ferro”.
Il viaggio a Mosca ebbe delle ricadute senza precedenti, ma non mancarono critiche e dibattiti specialmente all’interno della Democrazia Cristiana, partito a cui aveva aderito La Pira senza mai averne la tessera. “La mia unica tessera è il battesimo” scriveva il “sindaco santo”. Il viaggio doveva essere fatto subito dopo il convegno dei sindaci delle capitali d’Europa che si tenne a Firenze nel 1955. Invece si organizzò quattro anni dopo, nel 1959.
Per La Pira una Russia nata cristiana restava, nonostante l’avvento del comunismo, intimamente legata al centro vitale del cristianesimo. Per La Pira era possibile intravedere in quella terra d’oltrecortina il vero e autentico volto cristiano nelle “città sante” di Mosca e di Kiev.
Il siciliano sindaco di Firenze diceva che bisognava trovare una chiave di accesso per entrare nella città dalle mura chiuse come Gerico. Il riferimento era Mosca, che poteva essere considerata in quegli anni la Gerico dei tempi moderni. La telefonata a Citterich fu altrettanto simbolica: “Ce l’hai il passaporto?” chiese La Pira al cronista: “Si, professore. Dove andiamo?” chiese Citterich. La Pira senza mezzi termine disse: “A Fatima”. Citterich non mancò di fare una battuta: “E’ successo un altro prodigio?”.
Ma capì che non era il momento di fare il giornalista: Fatima era importante perché La Pira aveva letto “il rapporto” di suor Lucia al suo vescovo. La Pira era rimasto colpito, leggendo il rapporto della più grande dei tre pastorelli di Fatima, in particolare nel passaggio in cui veniva scritto: “Il mio cuore immacolato trionferà, la Russia si convertirà. Un tempo di pace sarà dato al mondo”.
Mossi da questo entusiasmo evangelico si organizzò il viaggio per portare il messaggio di Fatima a Mosca. Sembrava una cosa da pazzi per l’epoca, ma La Pira riuscì a farsi accettare anche dai sovietici.
Curioso, poi, l’episodio della valigia stracolma di santini della Madonna: “Seguivo da cronista i viaggi di La Pira e chiedevo sempre se potevo portare la sua valigia ma di solito il professore me lo negava. A Mosca – ebbe modo di ricordare Citterich nel corso di uno degli incontri promossi nel 2004 dall’Ufficio Nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei – La Pira arrivò con una valigia più pesante del solito. Gli dissi se potevo portarla io. Certo, mi rispose, portala tu. Arrivati in albergo gli chiesi: professore, ma che ha messo in questa valigia che pesa tanto? Ti ho fatto fare un po’ di contrabbando sacro rispose.
Insomma, c’erano tre statuette della Madonna di Fatima, tantissimi santini della Santissima Annunziata di Firenze e di Santa Teresina di Lisieux”. Una valigia di santini che incuriosì anche Giuseppe Ronchey, allora corrispondente da Mosca del Corriere della Sera. Ronchey chiese al collega del “Mattino” di Firenze cosa era venuto a fare a Mosca Giorgio La Pira: “Un pellegrinaggio” rispose Citterich. Ronchey rimase incredulo, ma alla fine dovette ricredersi.
Allora a Mosca c’era la censura e tutti i corrispondenti dovevano recarsi all’ufficio censura per leggere il testo prima di mandarlo.
Alla fine Ronchey riuscì a mandare l’articolo e in Italia tutti vennero a sapere cosa ero andato a fare La Pira nella capitale del comunismo mondiale. La partenza dal santuario occidentale di Fatima per giungere al santuario della Santissima Trinità di Mosca fu un segno, così come la visita di La Pira alla tomba di San Sergio.
Fu lì che il sindaco di Firenze incontrò il rettore dell’unico seminario esistente e iniziò a discutere con lui, in territorio ortodosso, del Concilio appena indetto. Prima di lasciare poi il santuario La Pira stupì tutti ancora una volta: chiese al giovane monaco che accompagnava la piccola delegazione di rendere omaggio a Massimo il Greco, la più grande figura russa vissuta all’epoca di Savonarola. Un monaco del Monte Atos passato da Firenze e allievo di Savonarola, poi trasferitosi a Mosca.
Quando La Pira morì il 5 novembre del 1977, quindici giorni dopo, per la prima volta il presidente egiziano successore di Nasser, Sadat andò a Gerusalemme a parlare al parlamento israeliano, la Knesset, e disse una frase: “Non sono qui per un accordo separato. Sono qui per la pace della famiglia di Abramo”.
Un’espressione “presa in prestito” da Giorgio La Pira che l’aveva coniata negli anni ‘50 quando aveva intuito che la risoluzione dei problemi globali non si sarebbe verificata con la distensione tra Est ed Ovest del mondo, ma tra Nord e Sud.
Nei giorni dell’attacco russo all’Ucraina, di cui ancora non sono chiari effetti e ricadute, parlare del viaggio di La Pira a Mosca potrebbe sembrare anacronistico. Invece non lo è.
La Pira ha avuto due intuizioni che si sono realizzate: la prima è stata la caduta dell’ateismo in Unione Sovietica. Quando per la prima volta nel ‘59 andò in Russia disse a Kruscev: “Togliete di mezzo il ramo secco dell’ateismo di Stato”. Poi, successivamente, ribadì che togliere di mezzo il cadavere dell’ateismo di Stato poteva essere fatto allo stesso modo di come era stato tolto di mezzo il cadavere di Stalin.
Citterich al riguardo, dopo quella visita a Mosca rifletté con il Professore sottolineando che la questione non era solo legata all’ateismo. La Pira rispose in modo secco e preciso: “Se tolgono di mezzo l’ateismo passerà un po’ di tempo e tutto crollerà”.
Aveva ragione e la visita di Michail Gorbačëv lo dimostrò qualche anno più tardi. Certo non è che in Unione Sovietica si verificò tutto ciò che La Pira aveva detto, ma indubbiamente ci fu una rinascita cristiana. Per quel che riguarda poi la pace di Abramo, nonostante gli eventi di ieri e di oggi, non c’è altra strada da seguire se non quella indicata da Giorgio La Pira: la riconciliazione.
Due intuizioni, queste, la caduta del comunismo e la riconciliazione, che sono ancora di esempio alle generazioni più giovani, ma anche di modello ai politici, così come una poesia che piaceva a La Pira e che recitava così: “È di notte che è bello credere nella luce, dobbiamo forzare l’aurora e nascere credenti”. In una lettera a Kruscev firmata l’8 agosto 1958 Giorgio La Pira scrive: “Il passato non è cosa da museo: il passato è vivo nel presente e condiziona, trasmettendosi ad esso, l’avvenire…”. Una frase che vale ancora oggi e che serve a comprendere quello che sta accadendo nel 2022 in Europa, ancora una volta avvolta dai venti di guerra.
Vincenzo Grienti, giornalista professionista per l’Unione cattolica della stampa italiana
Democrazia Cristiana, Kiev, ucraina, Unione Sovietica, Vittorio Citterich