Andrea Agnelli, il golpista che rimedia una figura barbina
La vicenda della Superlega ripropone, al netto delle valutazioni calcistiche e di geopolitica, una questione atavica: basta essere i proprietari di un’impresa, soprattutto se di dimensioni rilevanti, per avere la capacità di guidarla?
Lo spaesato e beffato Andrea Agnelli che pensava di poter guidare un “golpe” contro i vertici mondiali del calcio, non solo ha fatto una figura barbina in tutta Europa, ma probabilmente sarà costretto anche a cedere la presidenza dell’amata Juve.
Superficialità, eccessiva sicurezza nei propri mezzi (per usare un eufemismo), una certa spocchia ereditata dalla famiglia, ma anche la certezza che i soldi possano comprare tutto, compresa la passione dei tifosi, sono stati la ricetta del fallimento.
In fondo nulla di nuovo sotto il sole: abbiamo esempi eclatanti di ottime imprese guidate in maniera pessima da seconde, terze o quarte generazioni; a dimostrazione che la genialità, il saper stare al mondo, il fiuto per gli affari, non sono materia ereditaria, ma frutto di sacrifici, gavetta e tanto sudore.
Un po’ quello che uno dei dirigenti storici del Psi craxiano, Rino Formica, ebbe a sintetizzare per descrivere la politica, definendola sintesi di “sangue e merda”.
Ecco, anche per l’impresa vale la stessa ricetta: senza sangue e merda difficilmente si diventa buoni imprenditori. Ed allora sarebbe bene affidarsi a buoni manager, godendosi i frutti della propria ricchezza e mettendo da parte l’invidia per chi è capace. Che poi, a sfidarlo ed a volerlo sostituire si rischia di fare risplendere ancora di più la propria incapacità.