Di Matteo non le manda a dire: Davigo un giustizialista vicino a Bonafede e 5Stelle
Giovedì sera, in un programma tutto sommato di nicchia, Piazzapulita, andato in onda su La7, pur sfuggito a molti, si è scritto un pezzo fondamentale della storia della magistratura italiana.
E’ accaduto che il conduttore, il bravo Corrado Formigli, intervistasse il giudice Nino Di Matteo, oggi consigliere del CSM, per una valutazione sui ripetuti scandali che stanno sconvolgendo la magistratura italiana, minandone la credibilità, proprio a partire dall’organo di autogoverno dei giudici.
Dopo una difesa, obbiettivamente dovuta e meritata, del dr. Ardita, tirato in ballo, suo malgrado, da alcuni falsi verbali nel verminaio della presunta “Loggia Ungheria”, Di Matteo, a precisa domanda del suo intervistatore, si è lanciato in una durissima filippica contro l’ex giudice Piercamillo Davigo; non una presa di distanza generica, ma la condanna, ferma e decisa, di una serie di comportamenti che proprio Davigo aveva tenuto nella diffusione informale dei verbali di interrogatorio dell’Avv. Amara, colui che con le sue dichiarazioni aveva innescato la “polveriera CSM”, dopo che si erano appena spenti, o forse solo sopiti, i fuochi dello scandalo Palamara.
L’attacco del Dr. Di Matteo è stato preciso, quasi chirurgico, mirato a stigmatizzare non solo i comportamenti singoli di Davigo, ma anche una maniera di concepire la giustizia, l’attività ed il ruolo stesso, del magistrato, estranea non solo al vivere civile ma anche alla costituzione.
L’idea del “magistrato infallibile”, o del magistrato che “in fondo se sbaglia e rovina vite chi se frega, visto che non ci sono innocenti, ma solo colpevoli ancora da scoprire”, base delle teorie davighiane, diventano improvvisamente, anche per un legalista come Di Matteo, assiomi insostenibili e liberticidi, contrari allo spirito della divisione dei poteri, ma anche al ruolo stesso, ed alla conseguente responsabilità del magistrato.
E l’attacco non viene da un magistrato qualsiasi, ma da uno dei simboli dell’antimafia, quella vera, da oltre 23 anni ininterrottamente sotto scorta, pm del processo sulla “trattativa, e componente, assai ascoltato, dello stesso CSM.
Come se non bastasse Di Matteo ha, nell’ordine, smentito che Davigo lo avesse invitato a candidarsi (“l’ho conosciuto solo dopo la mia elezione a parte qualche contatto professionale”), che esistono procedure informali nella trasmissione di atti fra magistrati, e, dulcis in fundo, ha adombrato l’ipotesi che dietro la sua mancata nomina a capo del DAP, oggetto di un’altra clamorosa inchiesta proprio de La7, da parte di Bonafede, allora Ministro della Giustizia, ci sia stata proprio la mano dell’ala giustizialista della magistratura vicina ai 5 Stelle, e guidata proprio da Davigo
Insomma una rivoluzione copernicana, che potrebbe esser al chiave di volta per aviare una riforma vera della magistratura e del CSM, come peraltro richiesto dall’Europa, proprio in occasione del dibattito sul recovery Fund.
A proposito, una chiosa: nel dibattito seguente il fondatore del “Fatto Quotidiano”, Padellaro, ha sostenuto che sarebbe gravissimo che il nuovo Ministro della Giustizia abrogasse, o modificasse, la riforma Bonafede, soprattutto in materia di prescrizione, perché significherebbe per la giustizia piegarsi alla politica.
In sostanza la Cantabria, già presidente della Corte Costituzionale, e Draghi, la personalità italiana oggi più stimata nel mondo, sarebbero i nuovi Previti e Berlusconi, mentre Bonafede e Conte sarebbero i paladini della giustizia giusta.
Forse dovrebbe esserci, per legge, anche un limite al ridicolo.