Come la “banca dei ragusani” è sfuggita al ruolo che la storia le aveva assegnato
Tutti i quotidiani locali stanno rilanciando la notizia dell’accesso ispettivo alla Banca Agricola da parte dei militari della Guardia di Finanza.
Vorremo raffreddare i facili entusiasmi di chi, da anni, lotta per vedere riconosciuti i propri diritti poiché l’attività si inquadra in una visione più ampia che vede commissioni parlamentari di vigilanza e Ministero dell’Economia acquisire atti e dati utili all’esame sulla correttezza dei comportamenti posti in essere dalla Banca ragusana riguardo la gestione della compravendita delle proprie azioni.
Nulla di più; almeno per ora. E non certo perché quanto fatto dall’istituto bancario a danno dei propri azionisti sia un particolare trascurabile o non integri gli estremi quanto meno della mala fede, quanto perché le colpe di quella che per molto tempo si è creduta la “banca dei ragusani” sono ben più gravi e diffuse.
Anche negli anni nei quali il 70% dei correntisti iblei aveva almeno un conto alla Banca Agricola, l’istituto non ha mai segnato la sorte della piccola e media impresa ragusana, sfuggendo al ruolo che la storia sembrava assegnargli e diventando sempre più la tranquilla enclave di una pseudo aristocrazia ragusana che dell’istituto ha fatto il bello ed il cattivo tempo per decenni.
Non solo assunzioni per interi nuclei familiari, non solo dirigenze distribuite per dinastie, non solo l’allontanamento di dirigenti capaci ma scomodi, quanto l’assenza di ogni forma di osmosi con una provincia che alla Banca Agricola tanto ha dato in termini di ricchezza e prosperità.
Un credito selettivo ha favorito più un gruppo ristretto di aziende, per le quali i nomi ed i cognomi hanno fatto più dell’effettivo valore e merito creditizio, che la stragrande maggioranza delle piccole e medie aziende; le stesse che da sempre costituiscono il tessuto connettivo dell’economia iblea, e che hanno, abbandonate dalla propria banca di riferimento, sancito il successo dei tanti consorzi fidi prosperati in terra iblea.
Nessun fenomeno sociale è stato accompagnato a sufficienza, se si esclude la breve parentesi della sponsorizzazione della pallacanestro maschile a Ragusa (ma anche lì giocavano amicizie e passioni personali); nessun grande evento culturale ha restituito al territorio una minima parte della ricchezza ricevuta; ed anche le piccole sponsorizzazioni sono state elargite con il contagocce ed in un clima di concessione quasi divina.
Le tesorerie dei comuni sono state abbandonate al minimo segnale di difficoltà, mentre si guardava con attenzione a piazze come Catania e Milano, laddove la vocazione territoriale della banca è stata sacrificata, ma, al contrario gli impieghi sono aumentati.
E neanche l’ultima occasione della pandemia è stata sfruttata per riallacciare i rapporti con il territorio: nessuna misura straordinaria, nessun segnale concreto, nessuna concessione ad aziende e famiglie che per decenni hanno arricchito i vertici della Banca.
Anzi, una cosa importante la Banca l’ha fatta: negare la vendita delle proprie azioni ai propri correntisti, anche in casi di estrema necessità, adducendo irrilevanti, e spesso artefatte, giustificazioni di ordine normativo europeo; piccoli sotterfugi presto scoperti non solo dall’agguerrito movimento degli azionisti, ma anche dalle commissioni parlamentarie, dai giornalisti che del caso si sono occupati.
Giornalisti, ricordiamolo, soprattutto regionali e nazionali, perché qui, in provincia, la banca è come il Vaticano: non si tocca e se si tocca è solo per accarezzarla; mai una critica, mai un’inchiesta seria, mai una dura presa di posizione.
La stessa posizione prona che ha accompagnato la politica per anni, e che ci ha restituito poche famiglie arricchitesi in maniera smisurata a fronte di tantissime cui è inibito persino riavere indietro i propri risparmi per sposare un figlio, comprare una casa, o persino curarsi.
Anzi, a questi ultimi viene proposto in cambio un mutuo, con la beffa di dover pagare interessi per beneficiare di denaro proprio che in quei forzieri è depositato.
Nel frattempo, mentre decine di giovani professionisti devono emigrare in cerca di lavoro, la Banca Agricola continua ad ignorare il merito dei giovani ragusani, assumendo per dinastia e per lascito, secondo una logica medioevale alla quale manca solo lo ius primae noctis.
Se questa è una banca….
(foto dal web)
Gianni
Grazie “INDIFFERENTE “ per aver dato vive alla verità sulle sofferenze subite e subendi da parte di tantissimi piccoli risparmiatori che sono stati derubati dei risparmi di una vita Intera, anche della liquidazione maturata nell’arco di tutta la vita lavorativa.
L’inganno è stato per tutti “ compra le azioni della BAPR molto solida, non appena hai necessità la BAPR ricompra i propri titoli in pochi giorni “.
La realtà al momento della necessità è stata ed è quella raccontata dal l’indifferente.
Grazie ancora per aver raccontato la pura e sacrosanta VERITÀ, non è da poco.
Mario
Questa è la reale verità adesso qualcuno si rende conto che la banca vicina alle famiglie ragusano e del circondario altro non era amministrata di strozzini senza scrupolo che pur di arricchirsi e favorire amici e parenti non ci hanno pensato due volte a colpire i poveracci che in buona fede avevano messo nelle loro mani i risparmi di una vita. Che si faccia chiarezza sulle loro malefatte e se si accerta che sono farabutti e disonesti debbono pagare a caro prezzo
BARABBA
“Pagare a caro prezzo”? Con quali soldi? Forse con quelli del Monòpoli.