La scomparsa di Daouda ad Acate: le smentite della ditta calcestruzzi e i dubbi dei sindacati
Passano i giorni e anche le settimane, ma sulle indagini in corso per far luce sulla scomparsa di Daouda Diane ad Acate, non si hanno notizie.
Mirko La Martina, avvocato della ditta che produce Calcestruzzi, dove è stato visto per l’ultima volta, l’operaio di origini ivoriane scomparso lo scorso 2 luglio, continua a negare che l’uomo lavorasse lì, ma la versione dei fatti fornita non convince i sindacati. Secondo l’USB Ragusa in quell’azienda il 37enne lavorava in nero e a dimostralo ci sarebbero anche due video inviati dallo stesso ad un amico nei giorni precedenti alla scomparsa.
Nel frattempo, com’è noto la Procura di Ragusa sta indagando per omicidio e occultamento di cadavere. L’ipotesi avanzata dal sindacato è che a Daouda possa essere accaduto qualcosa, magari un incidente sul lavoro e che sarebbe per questo fatto scomparire. Ma la ditta di Calcestruzzi di Acate, rappresentata oltre che da Mirko La Martina, anche dall’avvocato Luca Pedullà, si dice estranea ai fatti e nega qualsiasi tipo di coinvolgimento. Al momento non ci sono iscritti sul rgistro degli indagati e nemmeno i rilievi effettuati dai Ris all’interno dell’azienda avrebbero trovato elementi che dimostrerebbero la presenza di Daouda nel cantiere. Nemmeno i filmati delle telecamere di videosorveglianza che guarda caso quel giorno non erano funzionanti perché in manutenzione.
Di Daouda Diane si sa che qualcuno lo andava a prendere alle 7 del mattino a casa e poi lo riportava nel pomeriggio e che aveva recentemente inviato due video, girati all’interno dell’azienda, nei quali denunciava le precarie condizioni di lavoro.
“I video sono stati girati all’interno della ditta di Calcestruzzi dove Daouda lavorava in nero – denuncia il sindacalista Mililli – cosa che l’azienda aveva negato assolutamente mentre adesso avrebbe cambiato versione confermando che lui lavorava lì ma che era stato preso solo per pulire saltuariamente”
Daouda era in Italia da nove anni, aveva il permesso di soggiorno e si era perfettamente integrato nel tessuto sociale. “Aveva partecipato alle nostre manifestazioni, ma non era attivo politicamente – spiega Usb Ragusa – era un lavoratore che denunciava agli amici e ai familiari le condizioni nelle quali era costretto a lavorare. Lui alla nostra organizzazione sindacale non ha mai denunciato nulla direttamente, se lo avessimo saputo forse avremmo potuto fare qualcosa”.