Modica: il racconto di Alessandro. Il ragazzino che per recuperare il pallone scoprì la Chiesa di San Nicolò Inferiore

Durante la conferenza di presentazione dei lavori di restauro della Chiesa rupestre di San Nicolò Inferiore abbiamo appreso una storia che forse non tutti conoscono e che merita di essere raccontata. Lo facciamo tramite le parole di Alessandro Floridia che era solo un ragazzino quando, giocando a pallone come si era soliti fare in quegli anni, fece una scoperta davvero importante.

Era la fine degli anni ’60, quando Alessandro si trasferì bambino, con la sua famiglia, a Modica dal Venezuela, dove era nato.

Poco dopo, ci racconta Alessandro, in una casa molto vicina alla nostra, è venuta a vivere la mia unica anziana nonna ed io trascorrevo lunghi pomeriggi in quella casa, con quell’unico balcone che affacciava su un cortile interno della via Grimaldi dove sbucava, tra le altre, anche la stradina dove si trovava la falegnameria del papà. Con le gambe penzoloni da quel balcone, con accanto la nonna intenta a fare la calza o un rammendo, avevo ormai imparato a riconoscere ogni angolino di quel cortiletto, ogni mattonella di pece nera del suo pavimento, ogni pietra d’angolo, ogni fessura nel muro. Da ogni porta o garage di quel cortile ogni tanto entrava o usciva qualcuno solo una rimaneva sempre chiusa e, già cadente, sulla sua soglia ospitava piccoli cespugli d’erba. Sopra quella porta una grande finestra ad arco alta quasi quanto la porta, allora senza grate o imposte di nessun tipo, in particolari ore del pomeriggio e per pochissimo tempo lasciava entrare abbastanza luce da potervi scorgere, all’interno, quella che sembrava quasi una piccola jungla selvaggia, che io riusciva a vedere affacciandomi da una finestrella, a casa della nonna, che dava su un pozzo luce dietro quella misteriosa porta”

Questa scena che ci racconta Alessandro si è ripetuta per anni fino a quando crescendo iniziò a frequentare la scuola Elementare sui cui muri, a quei tempi, campeggiavano i poster di una campagna che informava sui rischi degli ordigni, residuati della Seconda Guerra Mondiale, che si potevano trovare ancora in giro e c’erano anche delle figure!

Ma io questa a forma di ananas l’ho vista, raccontava Alessandro ai suoi compagni, ce n’è una sulla finestra sopra la porta del cortile, sotto il balcone della nonna!” ma nessuno ascoltava quelle che sembravano essere solo fantasie di un bambino e per anni si sentì ripetere: “Non può essere, chissà che hai visto!”

Nel frattempo, passavano ancora gli anni e nel quartiere arrivavano altri ragazzini con cui trascorrere i pomerigggi a giocare nel quartiere: Alberto, Orazio, Paolo, Saro.

Un giorno, ci racconta Alessandro, con un “mitico” pallone Yashin regolamentare da 420 grammi sottobraccio, comprato a fatica con i risparmi su quella che oggi si chiamerebbe paghetta, convocai insieme ai miei amici una “sessione di allenamento” in vista di una delle “importanti partite” che si svolgevano nello stadio “u cianu ri San Pietru” a fianco della chiesa”

 Il cortiletto della Via Grimaldi era piccolo ma bastava ad allenarsi ai calci piazzati contro una porta immaginaria delimitata, proprio sotto il balcone della nonna, da due aste poggiate al muro offerte dalla falegnameria di papà.

Pochi tiri e poi una “prodigiosa” respinta del portiere di turno faceva carambolare il pallone sull’arco della finestra sopra la porta misteriosa e, rimbalzando vicino all’ordigno a forma di ananas alla cui esistenza credeva solo il ragazzino, faceva finire la sua corsa dentro la jungla dietro quella maledetta porta.

I ragazzini, ma soprattutto il proprietario dello “Yashin”, passarono interminabili minuti col naso all’insù guardando innumerevoli volte ora la grande finestra, ora la vecchia porta sbarrata da un robusto ferro con un catenaccio. “Ci guardammo negli occhi e capimmo che l’allenamento era finito non c’era modo di recuperare il pallone, così tornammo a casa, visto che era anche quasi ora di cena. Solo io passai prima dalla nonna per affacciarmi dalla finestra del pozzo luce che dava sulla jungla dietro la porta: il mio Yashin era lì sotto, si scorgeva appena in mezzo alle foglie ma era lì chissà, pensai se mai avrei potuto recuperarlo…”

Intanto il tempo passava,era il 1978, Alessandro aveva concluso le elementari e si accingeva a concludere anche le medie, il pallone non si vedeva più dalla finestra della nonna ma forse erano solo l’erba e le piante di fico selvatico che lo coprivano.

Un pomeriggio passando per il cortiletto di Via Grimaldi, mi accorsi che i cespugli, sempre presenti davanti alla porta misteriosa, lasciavano intravedere che la stessa, dietro di essi, era ormai quasi completamente marcia e i due cardini inferiori delle due ante erano ormai liberi forse, spingendo un po’ quello che rimaneva della porta, sarei potuto entrare e cercare di recuperare il pallone! Era possobile ma serviva una mano. Così  reclutai qualcuno dei miei amici ed insieme ci provammo. La porta, come sperato, cedette e fu possibile ricavare uno spazio laterale che ci consentì di passare. Entrammo e, facendoci largo in mezzo ai fichi selvatici ed alla parietaria, arrivammo sotto la finestra del pozzo luce. Del pallone, però, nessuna traccia, forse il vento o qualche animale lo avevano spostato verso il fondo di quel locale; oltre la piccola jungla di fichi e parietaria però vedemmo per la prima volta, che il luogo non finiva lì ma c’era anche quella che sembrava una grotta che non avrebbe mai potuto vedersi fino ad allora. Varcata la soglia ci guardammo intorno. In giro, sul pavimento, ogni tipo di detrito, perfino quello che sembrava un catino di pietra quasi una conchiglia che poi scroprimmo essere il fonte battesimale. Andammo più in fondo e quando giungemmo al centro del locale, alzammo gli occhi che nel frattempo si erano abituati alla scarsa luce: sul fondo della grotta, sulla parete, vedemmo un volto appena distinguibile circondato da quella che sembrava un’aureola.”

L’immagine è di Antonio Delluzio

Alessandro ci racconta che provarono meraviglia mista a paura e così uscirono correndo da quel luogo ma con la necessità di condividere quella scoperta con qualcuno.

Si ricordarono della visita che con la scuola avevano fatto al Museo Civico e del  direttore Duccio Belgiorno che aveva fatto da guida. “Ci sembrò naturale coninvolgerlo e quel pomeriggio stesso andammo a trovarlo e lo portammo a vedere il luogo che avevamo scoperto. Quando vide l’immagine del Cristo si immobilizzò e rimase per lunghi minuti a contemplarlo, muoveva le labbra ma senza emettere un suono. Certamente aveva capito subito che era davanti a qualcosa di importante ma ci disse che fino a quando non era certo di quello che aveva visto non avremmo dovuto dire niente a nessuno

Trascorsa quell’estate Alessandro partì per proseguire gli studi prima a Ragusa e poi a Catania, tornando stabilmente a Modica solo nella seconda metà degli anni Ottanta.

Un giorno, forse nell’87, il ragazzino di un tempo, passando per quel cortiletto che ormai frequentava solo di passaggio, notò che la porta dietro cui si trovava il Cristo sul muro e, chissà dove, anche il suo pallone, era stata sistemata per bene e la serrava di nuovo un chiavistello con un catenaccio ancora più robusto di quello di qualche anno prima: “Chissà cosa ne è stato del nostro Gesù e di quel curioso catino….” Pensò con un pizzico di nostalgia per la ragazzata di allora, prima di tornare ancora una volta al lavoro ed alla sua vita.

Qualche anno dopo, tutto il quartiere intorno alla Via Grimaldi e la Via Castello fu blindato per un giorno intero e i residenti invitati a tenere gli infissi aperti: gli artificieri avrebbero disinnescato un residuato bellico trovato nella Via Grimaldi facendolo esplodere in maniera controllata proprio lì, nel cortiletto sul quale si affacciava la porta misteriosa. La bomba di Alessandro esisteva davvero, non se l’era sognata…

Da li a breve sarebbero cominciati i lavori di recupero e restauro della Chiesa Rupestre di San Nicolò Inferiore. “Ho voluto scrivere tutto ciò prima che il tempo alimenti ancora fantasie e leggende, pur sempre affascinanti, di cui ho letto e sentito ma la verità è e rimarrà quella raccontata in queste righe

Per Alessandro la Chiesa Rupestre di San Nicolò oggi è veramente il ‘luogo del cuore’ e certamente è un pò anche merito suo se Modica può godere di questo prezioso gioiello, esempio unico di architettura rupestre in stile bizantino del territorio ragusano.

chiesetta rupestre san nicolò inferiore, Duccio Belgiorno, modica, museo civico, via grimaldi

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