Anarchici e mafiosi chiedono un 41 bis all’acqua di rose. Ed è braccio di ferro tra politici illuminati e imbecilli di Stato

Pagine di sangue scritte nella storia di questo Paese smemorato: ventitré maggio 1992, ore 17:57, strage di Capaci. Cadono per mano mafiosa il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

Diciannove luglio 1992, ore 16,58, strage di via D’Amelio.

La mafia uccide il magistrato Paolo Borsellino e cinque membri della scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. I familiari di Borsellino rifiutano i funerali di Stato.

Alla cerimonia funebre degli agenti di scorta interviene in forma privata il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Un minuto dopo la benedizione delle bare da parte del cardinale Pappalardo esplode la rabbia dei colleghi dei caduti. “Li avete uccisi voi”  – urlano all’indirizzo del capo dello Stato – del presidente del Consiglio, Giuliano Amato e del capo della Polizia, Vincenzo Parisi.

Partono calci, schiaffi, sputi. Terrificante il coro di “assassini”, “fuori la mafia da qui”, “fuori la mafia dallo Stato”, “venduti”, mentre qualcuno dall’altare fa volare uno sgabello. Dai banchi vengono lanciate bottiglie di acqua minerale. I tre “colpevoli” aiutati dalle forze dell’ordine fuggono da un’uscita laterale.

Tristi, umilianti e penose le immagini del presidente della Repubblica che incespica sulla porta mentre si pulisce i pantaloni sporcati dai calci ricevuti, del segretario generale del Quirinale, Gaetano Gifuni che, colpito da un pugno, si porta il fazzoletto alla bocca, dell’inquilino di Palazzo Chigi, Amato, che, costernato e impaurito, si copre le orecchie per non sentire gli insulti, del Capo della Polizia, Parisi, con le guance arrossate per le sberle ricevute.

Pochi giorni dopo vengono trasferiti da Palermo il questore Vito Plantone e il prefetto Mario Jovine, mentre rassegna le dimissioni il procuratore capo di Palermo, Pietro Giammusso. Lo Stato ad un bivio. Tempo finito. Occorre dare un segnale forte e inequivocabile contro lo strapotere mafioso.

Nel giugno del 1992, con il cosiddetto “superdecreto antimafia Scotti-Martelli”, viene approvata la modifica dell’ordinamento penitenziario che istituisce il carcere duro del 41 bis. Il provvedimento, che avrebbe dovuto avere la durata di soli 36 mesi, nel corso degli ultimi tre decenni è stato regolarmente prorogato da tutti i governi che si sono succeduti alla guida del Paese. Condivisione piena, dunque, ad oggi, da parte di tutte le formazioni politiche di un provvedimento ritenuto necessario per tutelare la sicurezza dello Stato.

La premessa di cui sopra vale per chi non vuole ricordare, per chi fa finta di non ricordare e per chi, ricordando perfettamente, preferisce ora, pro domo sua, imboccare sciaguratamente il vicolo cieco della sciatteria politica.

Oggi, nonostante o a seguito (fate voi) degli attentati di questi giorni in Italia e all’estero, alcuni politici virtuosi e lungimiranti si chiedono se sia il caso di confermare il 41 bis, o se invece non sia cosa buona e giusta annaffiarlo con acqua di rose o meglio ancora … eliminarlo. Evidentemente questi sedicenti statisti hanno elementi in mano che altri politici mediocri, sprovveduti e giustizialisti, non hanno.

Oggi ci troviamo, da una parte, di fronte a politici “illuminati e geniali” ai quali risulta che anarchici, terroristi e mafiosi hanno deciso finalmente di stare assieme per promuovere la pace nel mondo e, dall’altra, ai soliti “imbecilli di Stato” che, tormentati dall’idea “diabolica” della sicurezza nazionale, non si sono accorti di questo improvviso e miracoloso cambiamento di uomini e donne, ex pezzi di umanità violenta e bombarola, folgorati sulla strada di Damasco.   

Mbari, dice u zu Vanni al vecchio amico Turi, ma gli incendi di questi giorni, gli attentati in Italia e all’estero, le minacce esternate in Tv, le telefonate anonime, le lettere contro il governo, le bombe che gli anarchici vorrebbero mettere sotto il culo di chi non la pensa come loro, le proteste di “300 studenti giovani, forti e di belle speranze”, che hanno occupato a Roma le aule della facoltà di Lettere dell’Università “La Sapienza” per protestare contro il 41 bis, sono forse minchiate? Togliamo il 41 bis perché l’emergenza è finita? Niente anarchici in giro, dunque, e con l’arresto di Matteo Messina Denaro niente più mafia? Ma come si fa? Ma dai?

Mbari, la risposta di Turi, cosa volete che vi dica … “sugnu ammincialutu”.

Michele Giardina

La foto di copertina è tratta dal web.

Alfredo Cospito, anarchici, Antonio Montinaro, Francesca Morvillo, Giovanni Falcone, mafia, Mario Jovine, Matteo Messina Denaro, Oscar Luigi Scalfaro, Paolo Borsellino, Pietro Giammusso, Rocco Dicillo, Vito Plantone, Vito Schufani

Commenti (1)

  • Se questo è un uomo….

    alcuni assaggi sulla tortura di Stato.

    Cosa prevede il 41bis?

    Completo isolamento sensoriale, vale a dire che su 24 ore solo 2 sono d’aria in compagnia di un massimo di 3 persone scelte dalla direzione del carcere, che il campo visivo è limitato alla cella o ai passeggi chiusi da reti dove il cielo si vede a quadretti; che le visite con i familiari si svolgono, una volta al mese, con vetri divisori e non c’è nessun tipo di contatto umano; viene impedito di leggere, studiare (libri, non più di 4, giornali, riviste, sono acquistabili solo tramite il carcere e soggetti all’arbitrio della direzione carceraria che censura, taglia articoli, gestisce tutte le notizie e le informazioni); tutto è sottoposto a censura, compresa la visione di alcuni canali televisivi e la difesa è di fatto impedita dall’impossibilità di partecipare ai processi se non in videoconferenza e al divieto ai difensori di diffondere notizie relative alle condizioni di vita dei detenuti …

    Come oramai si può leggere anche sulla pagine di molti giornali la narrazione che vuole che questo regime abbia lo scopo di recidere i legami con l’organizzazione di appartenenza non regge neanche nel caso della lotta alla mafia, che negli anni si è trasformata e ha trasferito la sua attività nei grandi appalti e nella finanza.

    Contro questi regimi Alfredo Cospito sta facendo uno sciopero della fame ad oltranza da più di 100 giorni. Ha ben chiarito che il problema non è la sua detenzione ma la condizione di tutti quelli sottoposti al 41bis e all’ergastolo.

    In questi 100 giorni il dibattito sul carcere è cresciuto e molte delle sue contraddizioni sono venute a galla: il sovraffollamento, le mancate condizioni igieniche e sanitarie, l’altissimo numero di suicidi, le rivolte del Marzo 2020 terminate con una brutale repressione che ha causato tredici morti…

    Diversissimi settori della società ne sono stati coinvolti e anche i non addetti ai lavori iniziano a confrontarsi su questo problema e a comprendere il reale scopo delle misure e strumenti punitivi.

    Lo sciopero della fame di Alfredo contro il 41 bis, l’ergastolo/ostativo ci riguarda, ed è per questo che non possiamo tacere. Sul nostro silenzio la repressione si rafforza, i nostri bisogni vengono calpestati e la possibilità di realizzare una società senza sfruttamento dell’essere umano, dell’ambiente, libera da diseguaglianze e discriminazioni di qualunque genere e etnia diventa sempre più lontana.

    È necessario quindi coniugare la battaglia per la sua sopravvivenza con una battaglia per l’abolizione del 41bis e dell’ergastolo.

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