Una “puzzolente carnale eresia” al convento di Santa Maria della Raccomandata, nella Modica clericale del Settecento
(di Carmelo Cataldi) – Mi ero sempre chiesto perché dal 1750 circa e fino al 1873, la Chiesa Madre di San Giorgio a Modica non avesse avuto più dei “Prepositi” in quanto Collegiata, ma solo dei Vice-Rettori facenti funzioni. Eppure avevo spulciato gli archivi parrocchiali e capitolari abbastanza in profondità, senza mai scorgere documenti che avessero mai potuto far presagire quello che poi, incidentalmente, avrei rinvenuto nei “Diari palermitani” di alcuni autori siciliani.
La stragrande maggioranza dei volumi capitolari sono dedicati alla diatriba secolare tra le due Chiese più importanti di Modica, ma nessun cenno alla questione riguardante la “vacatio” di 123 anni della sede della prepositura della Collegiata di San Giorgio. Questo fino a qualche giorno fa quando, leggendo i così detti “Diari palermitani” ovvero: Diari della Città di Palermo dal secolo XVI al XIX pubblicati sui manoscritti della Biblioteca preceduti da prefazione e corredati di note per cura di Gioacchino di Marzo volume XIV e Biblioteca Storica e Letteraria di Sicilia per cura di Gioacchino di Marzo Diari volume X, rinvenivo una storia sconosciuta ai più ed anche agli storici, una vicenda scabrosa dai toni boccacceschi se non fosse stato per il drammatico epilogo grazie all’intervento della “Santa Inquisizione” nei suoi organi esecutivi e giudiziari di Palermo.
Approfondendo l’argomento, rilevavo che in maniera molto sommaria e decontestualizzata nel contenuto, tra le opere di Leonardo Sciascia, scritte tra il 1984 e il 1989, si trovava una “Cronachetta” di cinque paginette scarse riguardante il fatto.
Poichè la vicenda risulta singolare e dà una visione del mondo ecclesiastico dei primi del Settecento a Modica del tutto singolare, ho ritenuto riproporla, in forma molto sintetica, nel seguente racconto. La fonte originaria, anche rispetto a Francesco Maria Emanuele di Villabianca, che ne redasse la cronistoria in un suo “Diario palermitano del 1743-1744 e 1745”, fu don Gaetano Alessi già Consultore e Qualificatore del Santo Uffizio di Palermo, che fornì al Villabianca i documenti originali della vicenda.
Il personaggio principale della vicenda, che si dipana nella Modica della terza decade del Settecento, tra San Giorgio e il convento delle suore benedettine di Santa Maria della Raccomandata, fu colui che l’allora divenne anche abate benedettino, ossia don Mariano Crescimanno, rampollo della famiglia patrizia dei Crescimanno di Capodarso di Piazza Armerina (EN). Nacque a Piazza Armerina (EN) nel 1695 da Giovanni, XI barone di Cametrici e da donna Donna Rosaria Petroso, baronessa di San Giuliano e Capodarso, da cui i Crescimanno ebbero dunque il titolo di Capodarso.
Non essendo il primogenito della famiglia, questo lo fu il fratello Vincenzo, primo barone di Capodarso, fu avviato alla vita religiosa e presso il convento di San Martino delle Scale di Palermo il 17 febbraio del 1712 prese l’abito dei benedettini; da quel momento, anche grazie al rango sociale siciliano della propria famiglia, scalò vari gradi all’interno dell’Ordine religioso fino a divenire a Modica nel 1735 responsabile di convento, ossia “padre di badia”. Qui iniziò a predicare dottrine considerate eretiche per il tempo, facendo proselitismo dentro e fuori dalle mura del convento e finanche in altri conventi benedettini della città, tra cui quello di Santa Maria della Raccomandata. Alle sue prediche, che si rifacevano al pensiero religioso del gesuita Luis de Molina (1535-1600), che metteva sullo stesso piano la conoscenza divina e quella umana e che avevano come punto di congiunzione, ossia: “… la libertà progressiva dell’uomo di ricevere la salvezza e una <sufficienza> che gli consente di riprendere a credere, amare e sperare, fino ad una grazia <efficiente>, massimo grado di elevazione spirituale. Da qui la giunzione, ossia il punto di incontro tra la comprensione di Dio e la libertà umana.”, in brevissimo tempo si avvicinò l’élite borghese e aristocratica cittadina, oltre a quella ecclesiastica.
Alla sua “eresia” aderirono e concorsero principalmente il Preposito di San Giorgio, don Rosario Castro, il “barone” Giovanni Fazio, il collega Girolamo Surdi e soprattutto la Badessa del Monastero di Santa Maria della Raccomandata suor Giovanna Orazia Saveria Ciaceri.
Proprio su quest’ultima e sulle sue sorelle, si concentrarono le attenzione eresiache del frate, che nella sua predicazione ne fece il fulcro divinatorio, accreditandogli il titolo di “Divina Sapienza” e proprietà tautomaturghe. Il vescovo di Siracusa, S.E. Matteo Trigona gli aveva concesso la gestione del convento, di cui ne aveva fatto alla fine un postribolo. Gli atti dicono che: “…Il reo principale fu D. Mariano, che, avendosi acquistato il concetto di gran mistico e gran santo presso il popolo, dal Vescovo di Siracusa D. Matteo Trigona ebbe in cura un (il) monastero in Modica. Ma ebbe gran colpa il vescovo nel dargli tutta la libertà nel Monastero, in cui entrava a sua voglia, pernottava dentro, ed operava alla libero; ed avendosi guadagnato la volontà della badessa, con cui ebbe impuro commercio, facendola chiamare la Divina Sapienza, corruppe poi tutto il monastero, seminando proposizioni moliniste, quietiste ed ereticali, con frazioni di sigillo sacramentale e con mille enormità, che inorridirono gli uditori….”.
Nel febbraio del 1738, circa tre anni dopo, “il Sant’Uffizio” di Palermo, venuto a conoscenza di quanto accadeva in quel convento, e dopo una confessione scritta dello stesso Don Mariano Crescimanno del 28 novembre del 1737, decise, “manu militari”, di intervenire: “…per vendicare il torto a lui (Cristo) fatto nel pervertire e svergognare un luogo, in cui custodivasi le religiose sue spose….”.
Inviò dunque il marchese di Geraci, don Giovanni Ventimiglia, Presidente della Giunta del Regno a Montecassino (FR) dove trasse in arresto don Mariano Crescimanno e il “barone” Giovanni Fazio”, a San Martino delle Scale inviò Luca Antonio de Laredo “Secretario dell’Inquisizione” ad arrestare il benedettino Girolamo Surdi, a Modica il duca di Castellana Agesilao Bonanno, vice di suo fratello a capo dell’ufficio della “Capitania del Tribunale” (dell’Inquisizione).
La cattura del preposito di San Giorgio a Modica ebbe del rocambolesco. Poiché era protetto dalla popolazione e dai seguaci della “setta”, il duca di Castellana, si camuffò da “portalettere” e con lo stratagemma di dover consegnare delle missive al preposito, fece leva con un’elemosina ad un povero che gli indicò dove fosse nascosto il preposito don Rosario Castro.
Il duca di Castellana provvide così ad arrestare il preposito e la badessa e tradurli, con il restante gruppo di consorelle a Palermo, dove furono rinchiusi, almeno la badessa, don Rosario Castro, il “barone” Giovanni Fazio e l’abate don Mariano Crescimanno fino “all’atto di fede” ossia il processo.
Il processo ebbe luogo nel Convento di San Domenico a Palermo il 6 aprile del 1743, ossia 5 anni dopo con ancora altre udienze il 16 aprile, il 5 e 6 di maggio successivi, quando fu emessa la sentenza, a seguito di confessione di tutti i “rei” e testimonianza delle sorelle del convento che nel frattempo erano state rilasciate.
Don Mariano Crescimanno e la badessa furono condannate alla reclusione a vita (a carcere perpetuo), l’abate Surdi, il “barone” Fazio ed il preposito di San Giorgio furono condannati a pochi anni di detenzione, mentre le sorelle ritornarono al convento di Modica.
L’eretico Crescimanno finì i suoi giorni nelle segrete dell’Inquisizione di Palermo, folle e delirante, il 12 novembre del 1771; attualmente non si conosce la fine della badessa e degli altri correi, ad eccezione del preposito di San Giorgio che, esule involontario, finì i suoi giorni a Roma.
Si potrà pensare a questa vicenda come ad una singolarità del periodo, a qualcosa avvenuto in una dispersa landa del sud est della Sicilia, ma non deve stupire se invece vicende come queste accadevano anche ad altre latitudini della Penisola e anche in altri periodi storici e mentre qui ebbe come oggetto soltanto la truculenza di una passione amorosa, spinta forse a qualcosa d’altro e molto più peccaminoso, considerati i soggetti che vi parteciparono, e di un momento di onnipotenza mistica, se andiamo a quella occorsa a Monza e raccontata dal Manzoni, possiamo rilevare che alla fine condanne e pene non furono più sproporzionate e severe.
Molti particolari sono ad oggi ancora mancanti perché, come detto, gli atti negli archivi cittadini sono assenti e solo una ricerca negli archivi invece di Palermo permetterebbe di contestualizzare e conoscere più a fondo e bene tutta la vicenda, che in maniera boccaccesca mise Modica al centro delle attenzioni e della attività della Santa Inquisizione nell’anno del Signore 1738.
Di seguito la confessione di Don Mariano Crescimanno del 28 novembre 1737.
J. M. J.
Io sottoscritto, avendo assoggettato all’esame dei teologi dotti e timorati di Dio la serie della mia direzione e condotta del monastero di s. Maria la Raccomandata della città di Modica, diocesi di Siracusa nel regno di Sicilia, e d’ogni altro luogo, città o monastero che si sia, son rimasto assicurato essere piena di errori, d’inganni e di illusioni, la antedetta mia particolare dottrina, da me spiegata ed insegnata nel mio senso; false ed erronee le opere; false le cantate, dettate da suor Maria Giovanna Ciaceri, sotto nome della Divina Sapienza; falsi li miracoli ed i prodigi divulgati o da me o da altri per accreditare detta mia condotta e cantate; false tutte le mie azioni con questa massima seguite. Anzi mi assicurano e mi han fatto conoscere di essere lo spirito mio dell’angelo più tosto delle tenebre, vestito con falso manto di luce. Perciò io, siccome ben conosco di quanti errori è capace qualunque umana mente, quale di sé troppo presume, e che essi teologi, come spassionati, meritano tutta la credenza, così entrato presentemente in me stesso, e rivolgendo gli occhi all’operato da me, quale ha potuto cagionare del danno nelle anime dè fedeli, dello scandalo e zizzania , con tutta la sincerità del mio spirito, vestendomi ora più che mai dell’armi della vera luce, pentendomi dell’errore commesso e da me cagionato nelle povere anime, mi protesto che ancor io io credo, reputo e dichiaro per falsi ed erronei i prodigi, false le cantate, falsa la mia particolare dottrina, e son pronto a farne qualunque penitenza ed a soggettarmi a qualunque correzione dè superiori , a cui spetta il giudicarmi e condannarmi: e precisamente protesto tutta la soggezione ed ubbidienza al Tribunale della Santissima Inquisizione del regno di Sicilia ed à supremi superiori della Santa Romana Chiesa, gridando e dicendo: <Peccavi, Domine, miserere mei>; e protesto di non volere altro credere, se non quanta la medesima mi prescrive di credere,; e voglio vivere e morire, come spero nell’aiuto della divina grazia, senz ala quale niente si può fare, da vero catolico da vero penitente. Ed in fede di questi miei sincerissimi attestati ho fatto la presente, scritta e sottoscritta di proprio pugno, per potersi pubblicare anche per tutto il mondo, acciò resti almeno glorificato Dio col mio ravvedimento. Ritratto perciò, abiuro e detesto tutti gli errori ed illusioni, che si trovasi in tutti i miei scritti, in tutte le mie lettere, ed in tutto quello ove avessi io potuto ingerire scandalo o altro, che potesse offendere la purità della sana dottrina ed il cuore dè fedeli. In somma in tutto e per tutto mi sottometto ad ogni determinazione della Santa Romana Chiesa, di cui mi protesto obedientissimo figlio: e questo son pronto a sottoscriverlo anche col proprio sangue, e per ciò confermo tutto come sopra.
Monte Casino, 28 Novembre 1737,
Io, D. Mariano di Piazza, Casinese.
Carmelo Cataldi
“Cronachetta”, “Diari palermitani”, “Santa Inquisizione”, Collegiata di San Giorgio, don Gaetano Alessi, don Giovanni Ventimiglia, don Mariano Crescimanno, don Rosario Castro, duca di Castellana Agesilao Bonanno, Francesco Maria Emanuele di Villabianca, Leonardo Sciascia, S.E. Matteo Trigona, San Martino delle Scale, Santa Maria della Raccomandata, Santo Uffizio di Palermo, suor Giovanna Orazia Saveria Ciaceri.