Ponte sullo Stretto, necessario. Che si realizzi per i territori, ma liberi da pregiudizi
(di Michele Giardina) – Ponte sullo Stretto di Messina? ‘Na viemu racina appisa … mancano strade, ferrovie infrastrutture … ci manca ri l’acqua o sali … come si fa a parlare ancora di questo sogno irrealizzabile?
Biforcuta e velenosa la lingua dei disfattisti, degli imbecilli di turno, degli utili idioti. Replicare serve solo a rovinarsi la salute.
Meglio in questi casi tacere e attendere l’alba del giorno che verrà, splendido spendente, pronto a proiettare luce propizia sul nastro inaugurale da tagliare per l’avvio di un’opera preziosa da realizzare come regalo all’umanità che lavora, produce e progredisce. (Da rileggere, se volete, il mio articolo sul ponte pubblicato il 25.02.2023).
Storia lunga quella del ponte, fortemente voluto da Berlusconi. Per abbreviare partiamo dal 2006. Nel maggio di quell’anno, dopo avere vinto le elezioni, il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi, blocca il Ponte sullo Stretto.
“Il Ponte sullo Stretto – dice il ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, – è inutile e dannoso”.
Progetto Ponte, dunque, accantonato. Il megalomane Berlusconi se ne faccia una ragione! E la penale di 300 milioni di euro da pagare alla società che ha vinto il bando? Non importa. Vediamo, vedremo … il ponte, comunque, non s’ha da fare!
Nel 2009 Berlusconi rivince le elezioni e torna in sella. Nel 2010, la Impregilo consegna il progetto definitivo dell’opera da realizzare, ma nel 2011 l’Europa (e ti pareva) non include il Ponte tra le grandi opere destinatarie dei fondi comunitari. Nello stesso anno cade il governo Berlusconi.
Seguono poi i governi presieduti da Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, tutti non favorevoli al Ponte, eccezion fatta per il governo presieduto da Matteo Renzi.
Nel 2012 il governo di Mario Monti, manco a dirsi, annuncia di archiviare l’iter della realizzazione.
Nel 2013 la società pubblica, Stretto di Messina Spa, creata nel 1981, viene messa in liquidazione e il progetto decade. Il governo, pertanto, è costretto a pagare una penale di 300 milioni di euro alla Impregilo che aveva vinto l’appalto.
Nell’ottobre del 2016 Matteo Renzi rilancia l’idea del Ponte. Ma, caduto il governo del baldanzoso premier fiorentino, non se ne parla più.
A seguito poi della pandemia e del piano di rilancio in Italia delle infrastrutture, nell’estate del 2020 il governo di Giuseppe Conte tira di nuovo fuori dal cassetto il progetto del Ponte. Ministro delle Infrastrutture Paola De Micheli, si parla anche di tunnel sommerso o tunnel sottomarino che il narciso Giuseppe Conte definisce “un miracolo di ingegneria”.
Caduto Conte nel 2021, il suo successore, Mario Draghi, stanzia altri 50 milioni di euro per uno studio di fattibilità tecnico-economica dell’opera. In attesa di sviluppi, cade il silenzio.
Giovedì 16 marzo 2023, il Consiglio dei ministri, presieduto da Giorgia Meloni, approva all’unanimità il progetto di costruzione del Ponte a campata unica, primario sogno antico del suo ideatore (giusto dare a Cesare quello che gli spetta), Silvio Berlusconi.
Telenovela finita. La parola ai fatti. Quelli veri. Che ti fanno sentire cittadino importante di un Paese importante.
La storia, manco a dirlo, è fatta di passaggi strani e complessi, a volte impensabili. Storia da leggere con le attenzioni che essa merita, in quanto maestra del percorso umano condizionato spesso da brutti inciampi e cadute rovinose, ma anche da felici e impreviste galoppate verso traguardi positivi.
Strano e sorprendente che fra i protagonisti della realizzazione del ponte vi sia un certo Matteo Salvini. Strano davvero: ieri battagliero militante della Lega Nord di Bossi contro Roma ladrona e il Sud fannullone, oggi ministro della Repubblica italiana sempre più convinto della necessità di sostenere fortemente il Sud e la sua gente per incentivare la crescita unitaria del Paese chiamato a recitare un ruolo di primissimo piano in Europa.
Ecco servito il concetto di politica che si ravvede, che cambia, che migliora, che si veste di sano realismo, ben al di là di ideologie tramortite dal tempo e dalla storia. Evviva, dunque, la politica del fare che sente fortissimamente il bisogno di risolvere i problemi della gente, della comunità nazionale, del Paese Italia. La politica che, avendo appreso la lezione salutare impartitale per lunghi anni dai bisogni della povera gente, avverte finalmente la necessità di impegnarsi con coraggio e determinazione per favorire il bene comune lavorando sodo con il cuore e la mente liberi da pregiudizi.
Michele Giardina