Successo in libreria dell’ultimo libro di Michele Giardina, “Immigrazione, il grande impiccio”

(di Giuseppina Pavone) – Gli scritti di Michele Giardina suscitano notevole interesse per una miriade di motivi che hanno tutti, però, un comune denominatore: la dimensione della comunicazione, nella sua variegata rappresentazione.

L’eleganza della forma e la capacità espositiva ne rendono chiara e gradevole la fruizione, a tutto vantaggio della comprensione di quanto viene trattato e trasmesso.Qualità questa poco frequente in non pochi giornalisti, presi come sono dall’urgenza della ‘notizia’ edalla frenesia della gestione del tempo, con l’inevitabile conseguente difficoltà a tener conto della ‘sorte’ del messaggio, sia esplicito che implicito, che proprio per questo presenta dei contorni a volte contradditori e paradossali.

Mi sovviene, a tal proposito, il pensiero del sociologo statunitense Robert Ezra Park,il quale nel 1925 affermava: “La vera ragione per cui gli ordinari resoconti dei giornali su episodi di vita comune appaiono così sensazionali è che conosciamo così poco la vita umana che non riusciamo ad interpretare gli eventi della vita quando li leggiamo. Basti dire che, se qualcosa ci colpisce, ciò avviene perché non riusciamo a comprenderlo”.

È trascorso un secolo dalla data di questa affermazione, ma sembra frutto dell’osservazione di ciò che succede ancora ai giorni nostri in materia di informazione, nonostante gli imponenti e significativi progressi (tecnologici e, soprattutto, della comunicazione).

Certamente non si corre questo rischio leggendo uno scritto di Michele Giardina, perché ‘primummovens’ del suo impegno di giornalista/scrittore è soprattutto ‘la ricerca della verità’, anche quando questa percorre i sentieri del ‘non detto’.

Nemmeno oggici coglie di sorpresa nel presentarci la sua ultima fatica su un tema di scottante attualità: vicende (politiche, economiche, ma anche sociali e umane, …) che fanno da sfondo alla sempre più inquietante problematica immigratoria.

Michele Giardina utilizza uno stile chiaro, comprensibile, schietto che non lascia spazio a fantasiose interpretazioni; la logica della sua narrazione è quella dell’evidenza dei fatti, sovrapponibile alla realtà. E poco importa se per restare fedele a tale obiettivo deve avventurarsi “nei meandri sempre più oscuri, complicati e misteriosi della politica”, come lui stesso afferma.Lo può fare e lo fa, perché ne ha la competenza e la necessaria sensibilità.

Senza ombra di smentita, potrei definire scientifico il suo metodo di lavoro: egli raccoglie dati ed elementi utili, analizza, osserva, riflette, pone ipotesi che man mano verifica mediante collegamenti e congruenze, contestualizza, infine si fa un’idea e … comunica!

In questo suo coraggioso saggio procede spedito nella narrazione, il ritmo si fa sempre più serrato, assumendo a tratti il carattere di un ‘thriller’, allorché la passione narrativa dell’Autore si colora della percezione di avere imboccato proprio la strada giusta, di avere intuito il ‘non detto’, scrigno della verità.

La ricchezza e la complessità delle vicende narrate e le molteplici implicazioni non ne consentono un’esaustiva disamina, per cui mi limiterò ad esporre alcuni miei spunti di riflessione,a corollario di quanto si potrà dedurre dalla consultazione del testo, in termini siadi ampliamento delle informazioni già possedute, sia di condivisione emotiva.

Cosa salta agli occhi dalla lettura?

Sotto l’osservazione di Michele Giardinac’è un arco di tempo di appena un mese, dall’undici novembre al dieci dicembre 2022, durante il quale periodo fatti ed eventi si susseguono e si snocciolano con impressionante rapidità, in una caleidoscopica tragicommedia,i cui veri protagonisti (i migranti!), quasi invisibili, restano nell’ombra, in uno sfondo niente affatto significante, offuscato e mistificato dal linguaggio e dalle azioni dei protagonisti, attori ‘visibili’ di tali vicende.

All’insegna di una malcelata cornice di strategia geopolitica,gli Stati membri europei più accreditati giocano ognuno la propria partita rintuzzando gli attacchi come palline da pingpong. Così, dall’altalenante posizione della Francia, che non perde occasione per mostrare il suo ipertrofico ego sovranista (non ci pensa due volte a tornare indietro nei propri passi, ribaltando a pie’ pari scelte già fatte), si passa alle pressoché categoriche affermazioni di Spagna, Finlandia, Germania e Danimarca, pronte, se è il caso, a marginalizzare storia e valori, pur di affermare un presunto diritto di privilegio decisionale. L’idea di una soluzione condivisa non sfiora nessuna delle menti ‘eccelse’ impegnate ad affrontare i problemi, piuttosto le reazioni appaiono lapidarie, nei toni oltre che nelle parole!

Nel calderone dei coinvolgimenti e delle relative argomentazioni anche i rapporti con i Paesi al di là delle acque territoriali e, inevitabilmente, i riferimenti a quegli anelli non di secondaria importanza, le ONG,il cui intervento non di rado rappresenta il fattore scatenante di tensioni mai sopite che aspettano l’innescodella miccia (ad es., i frequenti drammatici casi di naufragio), per far esplodere i contrasti, mettendo sistematicamente a rischio un equilibrio che non riesce a superare mai la condizione di precarietà.

Stupisce la numerosità e l’imponenza di eventi, tutti oltremodo significativi, che si sono concentrati in un solo mese di azioni politiche! Ma è il parametro della rilevanza del tema.

Quel che è certo è che la problematica dell’immigrazione rimane pur sempre drammatica e inquietante, presente nell’agenda politica degli Stati implicati più come un ‘grande impiccio’(come lo definisce Michele Giardina con cognizione di causa), che come impegno di cui farsi carico nell’ottica della cooperazione e della condivisione.

In questo, che somiglia sempre più a un gioco al massacro, molte carte devono essere ancora scoperte e molte verità sono da svelare.

Al netto di intrallazzi e speculazioni, la vittima di tutto ciò rimane l’immigrato vulnerabile e fragile, che fugge dalla guerra o dalle persecuzioni sperando in una vita migliore, più utopia che sogno in molti casi.

L’esperienza e i fatti di cronaca dimostrano come non pochi immigrati, se non muoiono in mare nelle operazioni di trasmigrazione, con difficoltà (tanto per usare un ‘eufemismo’!) potranno sperimentare un’accoglienza socialmente e umanamente rispettosa della loro dignità di persone: nell’immaginario collettivo, bene che vada, l’immigrato rimane pur sempre un “utile intruso”.

Giuseppina Pavone*

*Specialista in Politiche Sociali

Il libro può essere acquistato on line su Amazon, collegandosi a questo link

immigrazione, ong, Robert Ezra Park

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