La riflessione della FLAI CGIL sul “grande enigma dell’agricoltura a Ragusa”
Riceviamo e pubblichiamo integralmente la lunga nota del Segretario Generale della Flai Cgil Ragusa Salvatore Terranova su un argomento molto importante quello dello sfruttamento dei braccianti agricoli a cui riteniamo meriti di essere dato spazio
A Ragusa quello agricolo è il più importante settore produttivo del nostro territorio ed è, per ovvie ragioni, quello più sottoposto al setaccio, perché esso è interessato, non solo recentemente, da forme di organizzazione del lavoro in cui l’utilizzo dei braccianti non è conforme alle disposizioni previste dalla contrattazione collettiva.
In questo segmento produttivo prevale l’utilizzo dei lavoratori o in nero o con contratti di lavoro che solo apparentemente rispettano le indicazioni della contrattualistica di settore.
Ciò sembrerebbe essere un fattore naturale, perché caratteristica dell’agricoltura è stata sempre quella che i contratti a tempo indeterminato sono stati meno dell’1% dei contratti di lavoro che annualmente vengono accesi con braccianti (quasi 28.000 mila nel ragusano), i quali vengono assunti con forme contrattuali a tempo determinato, che, per la loro impostazione oltre modo flessibile, lasciano spazio ad un utilizzo della forza lavoro in maniera discrezionale sia nei pagamenti del salario sia nelle indicazioni dei giorni di lavoro.
Da tempo sosteniamo che non si debba più perdere tempo e che occorra dire una volta per tutte che il 99% per cento delle buste-paga in agricoltura non sono veritiere. Bisogna dirlo che in agricoltura nelle busta-paghe vengono inserite solo alcune giornate di lavoro, eppure i braccianti lavorano l’intera settimana. E’incivile consentire ancora una abnorme e illegittima sfasatura tra il lavoro svolto settimanalmente dal bracciante e ciò che invece poi viene registrato nella busta-paga. Le aziende possano ancora beneficiare di un modello contrattuale grazie al quale possono dichiarare tutto e il contrario di tutto? E costruire l’organizzazione aziendale sulle spalle dei braccianti che sulla carta lavorano non più du 10 giorni al mese e che nella realtà sono tutti i giorni in azienda per almeno 25 giorni al mese?
Il primo passo è appunto questo: va denunciato il fatto che i braccianti vengono pagati per un numero giornate lavorate nettamente inferiore rispetto a quelle realmente rese nelle aziende, dove molto spesso è invalsa la procedura di non riconoscere più di 101 giornate l’anno. Di recente ha preso piede la consuetudine aziendale di limitarsi al riconoscimento del minimo possibile delle giornate lavorate (questo è un ulteriore grande risparmio per le aziende), rispetto ad un non lontano passato, quando una buona parte delle aziende aveva il pudore almeno di attribuire ai propri dipendenti 151 giornate l’anno.
La Flai su questa non secondaria vicenda del mondo agricolo nostrano si è spesa evidenziando questo “delta” tra una utilizzazione piena del lavoratore e ciò che egli si ritrova, a fine mese, come salario. Ed è intervenuta in molti casi per sistemare questa divaricazione illegittima che danneggia economicamente e non solo il bracciante.
Grazie soprattutto al legislatore che con la legge n. 199/2016 ha fornito strumenti per cercare di combattere le tante forme di lavoro insicuro, di sfruttamento e di reclutamento della manodopera che attingono a fonti e a forme gestionali illegittime, il nostro territorio è interessato da specifiche e lodevoli iniziative promosse dalle Istituzioni pubbliche in connessione col privato sociale. Iniziative importanti che, unite alle attività svolte dalle Istituzioni preposte al controllo e alla repressione, vogliono tendere a ridisegnare uno scenario agricolo entro cui il rispetto dell’ambiente, dei lavoratori, della loro retribuzione, della loro sicurezza siano elementi assodati e ordinari, in cui i lavoratori più fragili siano difesi nella loro dignità e come lavoratori.
Pur tuttavia non va sottaciuto, anzi va sempre più reso più evidente, che ancora oggi, pur in presenza di tutte queste lodevoli attività diffuse, il comparto primario mantiene delle inaccettabili e radicate caratteristiche che non sono certo degne di una attività produttiva importante: coabitano al suo interno produzioni che vengono fuori grazie a una utilizzazione, veramente pesante e irrispettosa di qualunque considerazione civile e morale, della manodopera agricola e da cui emergono salari di 700-800 euro al mese, con braccianti che lavorano 24- 25 giorni al mese.
Ciò avviene perché il modello contrattuale vigente, concepito e realizzato quando l’agricoltura aveva tutte le caratteristiche della stagionalità, lo rende possibile. Oggi l’agricoltura, che non ha più una caratterizzazione pre-industriale, avendo sposato in pieno i canoni della iper-industrializzazione ha una produzione agricola non più per un periodo ben circoscritto dell’anno, ma per l’intero anno.
Le nostre aziende, non solo quelle di grandi dimensioni, ma anche quelle di media forgia, producono almeno per 11 mesi e i lavoratori vengono impiegati per tutto il periodo della produzione. Non può, pertanto, più trovare giustificazione alcuna che il 99 % per cento dei braccianti siano assunti con contratti a termine, ossia con contratti altamente flessibili, tutti a favore del datore di lavoro, che permettono a quest’ultimi discrezionalità non riscontrabili in altre realtà produttive. Se si facesse una comparazione delle buste-paga dei braccianti agricoli del territorio si troverebbe in esse una media di 10/12 giornate di lavoro inserite. E se la si facesse sul salario si troverebbe che in agricoltura campeggia il salario più basso se lo confrontiamo con quello di altri settori produttivi.
Allora se l’impostazione produttiva oggi è questa, pensiamo che il secondo importante passo da compiere sia quello di calibrare alle caratteristiche dell’attuale agricoltura un nuovo modello contrattuale, in linea appunto con la odierna organizzazione produttiva e con la previsione di una estensione e rafforzamento delle tutele dei lavoratori, che non è stata mai né potrà essere garantita con l’attuale e flessibilissima contrattualistica agricola.
Ci si è sempre più convinti che inaugurare in agricoltura il contratto a tempo indeterminato, con la previsione di sgravi contributivi pluri-annuali per le aziende, come forma prevalente ed ordinaria di assunzione costituirebbe, per le considerazioni sopra rappresentate, la possibilità concreta per fronteggiare in maniera adeguata le tantissime forme di sfruttamento che si annidano in questo comparto, considerato che gli strumenti, molto importanti, profilati in questi ultimi anni, sin qui sono riusciti a fare qualcosa, ma a non invertire un quadro davvero drammatico del mercato del lavoro agricolo.
L’obbligo per certe aziende, aventi certe caratteristiche dimensionali e che hanno una produzione estesa per almeno 10 mesi l’anno, di assumere a tempo indeterminato i braccianti riteniamo sia veramente la scelta-strumento per assestare un colpo decisivo allo sfruttamento lavorativo e di sotto-salario che connotano il settore primario. Tantissime criticità che rinveniamo quotidianamente nel lavoro di tutela dei braccianti verrebbero di colpo superate e si creerebbero i presupposti per far diventare, finalmente, quello agricolo un settore ordinario.
Oggi il compito di tutti gli attori coinvolti nel settore agricolo, dai chi rappresenta le aziende ma anche da chi rappresenta i lavoratori, è quello di fare traslare in una condizione dignitosa il mercato del lavoro agricolo e questo lo si può raggiungere attraverso l’elaborazione di nuovi strumenti contrattuali nell’ambito della contrattazione collettiva, che storicamente e nella prassi di tutti i giorni è stata sempre l’artefice di processi emancipazione umana ed economia del lavoratori, ma anche delle intraprese. La storia del lavoro insegna che la contrattazione collettiva è stata il percorso in forza del quale si è riusciti a raggiungere un quadro di tutele dei lavoratori che diversamente sarebbe stato impossibile realizzare.
agrivoltura, braccianti agricoli, contratti di lavoro, Flai Cgil Ragusa, Salvatore Terranova