L’anarchia senza confini di Giuseppe Alticozzi Cataldi. Il modicano espulso dagli Usa dopo il “caso Sacco e Vanzetti”
Fu protagonista dell’occupazione del Comune di Modica nel 1948, condotta insieme alle donne del suo quartiere Pizzo Belvedere
( di Giuseppe Calabrese) – Certe idee riescono a fare anche il “giro del mondo”, se chi le ha professate è riuscito ad incarnarle fino in fondo, come il cameriere modicano anarchico Giuseppe Alticozzi Cataldi espulso dagli Usa insieme ad altri 500 libertari, perseguitato dall’Ovra (Opera vigilanza repressione antifascismo) ed incarcerato più volte.
La sua storia, caratterizzata da soprusi ed angherie, è diventata il simbolo della lotta per la libertà e il progresso nelle condizioni di vita dei lavoratori e, soprattutto, delle battaglie per il rispetto dei diritti individuali e collettivi, che troverà il suo massimo impulso nell’immediato dopoguerra con battaglie sociali e civili ed un’intensa attività di diffusione della stampa anarchica.
L’arrivo dell’acqua pubblica nel 1958 nel quartiere Pizzo con il vicesindaco avvocato Piero Biscari a destra (Archivio Arturo Amore)
Tra le tante lotte popolari di cui Alticozzi si rese protagonista fece scalpore l’occupazione del Comune di Modica nel 1948, condotta insieme alle donne del suo quartiere Pizzo Belvedere, per rivendicare la fognatura. Il cameriere anarchico le condusse dal sindaco Fedele Romano, minacciando che l’indomani sarebbero ritornate con gli uomini e i “catusi” (usati per smaltire i bisogni fisiologici, n.d.a.) pieni per svuotarli nell’aula consiliare. Dopo tre giorni iniziarono i lavori per la fognatura nel rione di Modica Alta. Non mancarono altre iniziative di altri quartieri per sollecitare l’acqua potabile, la realizzazione di strade e la costruzione di case popolari.
Il biglietto del piroscafo “Giuseppe Verdi” con cui Giuseppe Alticozzi raggiunse gli Usa nel 1917 (Archivio Salvatore Modica)
A 30 anni, nel 1917, emigrò negli Stati Uniti dove il 13 febbraio di quell’anno approdò in territorio americano. Era già sposato con Vincenzina. Ma la sua permanenza negli Usa, dove abbracciò definitivamente gli ideali dell’anarchia, fu piuttosto breve. Alla fine del 1922, infatti, venne espulso dagli Stati Uniti insieme ad altri 500 anarchici a causa delle manifestazioni di protesta per l’arresto di Nicola Sacco, operaio in una fabbrica di scarpe, e Bartolomeo Vanzetti, pescivendolo, i due attivisti anarchici accusati ingiustamente dei delitti che non avevano commesso di un contabile e di una guardia del calzaturificio “Slater and Morrill” di South Braintree nella Contea del Norfolk in Massachusetts. Il 23 agosto 1977 il governatore del Massachusetts Michael Dukakis, candidato democratico alle elezioni presidenziali americane del 1988, riconobbe l’errore giudiziario e riabilitò i due anarchici italiani a mezzo secolo dalla loro condanna a morte.
L’espulsione e la deportazione degli anarchici dal territorio statunitense si inquadrava nella difficoltà di reprimere la loro attività e di ottenere dei processi e delle condanne, considerato che le leggi approvate fino a quel momento, l’”Immigration Act” del 1903 (noto come “Anarchist Exclusion Act”) e la legge sull’immigrazione del 1917 non avevano sortito gli effetti sperati. Così si arrivò al più restrittivo “Immigration Act”, meglio noto come “Dillingham Hardwich Act”, del 16 ottobre 1918, che rimase in vigore fino al 1952, che consentiva di mandare via, oltre agli anarchici residenti sul suolo americano, tutti gli stranieri indesiderabili, comunisti, sindacalisti e attivisti di ogni genere.
Una scelta maturata dall’amministrazione del presidente Thomas Woodrow Wilson, convinto che il migliore strumento per liberarsi di anarchici nati all’estero, manifestanti pacifisti e membri di sindacati radicali come gli “Industrial Workers of the World” fosse l’autorità del Dipartimento per l’Immigrazione, che poteva deportare persone secondo una definizione estremamente ampia di anarchismo, applicando tra l’altro procedure amministrative che non richiedevano un giusto processo nei tribunali.
Il rientro a Modica subito dopo l’avvento del fascismo non fu meno traumatico. Nonostante fosse riuscito a rafforzare ulteriormente il gruppo libertario locale, che aveva già al suo attivo alcune decine di attivisti, Alticozzi subì continuamente la repressione del regime. Nel 1923 fu licenziato dopo appena due giorni come cameriere dal Caffé Italia di Emanuele Agosta, in Piazza Santa Teresa a Modica Alta, che fu chiuso dai fascisti perché ritenuto un covo di elementi sovversivi. Sottoposto ad ammonizione, al cameriere anarchico non andò meglio con il Caffé Roma in Corso Umberto I (sotto Palazzo Grimaldi, n.d.a.) di Pietro Bellassai, che fu costretto a mandarlo via (da “Una vita trascorsa seguendo sempre i propri ideali” di Francesco Giunta pubblicato il 24 febbraio 2005 sull’allegato “I Modicani” del quotidiano La Sicilia di Catania).
Fu pertanto costretto ad emigrare di nuovo all’estero espatriando clandestinamente in Francia dove creò contatti con Paolo Schicchi (da “Archivio storico degli anarchici siciliani”, Carte Nicolò e Paolo Schicchi, Carteggio Alticozzi-Schicchi). Ma quando nel 1926 decise di rientrare in Italia fu tradito da una soffiata di una spia ed arrestato a Ventimiglia, dove fu preso in consegna da alcuni agenti dell’Ovra. Gli fu contestata la complicità nell’attentato a Benito Mussolini dell’11 settembre di quell’anno di cui era fortemente sospettato Gino Lucetti. Fu detenuto per due mesi nel carcere romano di Regina Coeli per essere poi trasferito nelle carceri di Napoli, Palermo e Agrigento.
I controlli ossessivi su Giuseppe Alticozzi messi atto dall’Ovra nel corso degli anni ’30
Come se non bastasse la continua detenzione, fu anche ammonito per altri due anni come “comunista”, fino al rientro nella sua città, dove svolgeva lavori precari a causa delle continue angherie da parte dei fascisti, che lo costrinsero più volte a bere l’olio di ricino (arrivò perfino a cucirsi i pantaloni addosso per non dare soddisfazione agli squadristi sugli effetti deleteri del purgante) e delle autorità locali.
Fu dapprima preso come ciabattino nella bottega di Aristide Morales, anch’egli anarchico, che garantì per lui ma fu costretto a licenziarlo comunque, e poi nella ditta Civello, sempre come cameriere. Anche Morales dimostrò un attivismo deciso. Durante un processo per antimilitarismo si presentò in tribunale vestito al contrario: il cappotto sotto, i pantaloni sopra e in ultimo le mutande. Agli avvocati ed ai giudici che ridevano nel vederlo conciato in quel modo spiegò che <la società borghese vuole l’uomo al contrario di quel che è>.
Alticozzi fu arrestato ancora una volta nell’agosto 1937 durante la visita di Benito Mussolini in provincia. Le sue peripezie, però, non erano ancora finite. Nel 1941 venne infatti fermato ancora una volta, sottoposto al carcere preventivo per tre mesi e quindi internato per un anno a Bagnoli Irpino. Tornò libero solo nel 1942, ma le persecuzioni a cui era sottoposto non gli consentirono di avere un lavoro stabile. Rientrato a Modica in pessime condizioni di salute, in quanto era affetto da pleurite, era riuscito insieme al figlio a trovare un’occupazione a Comiso, ma le autorità di pubblica sicurezza lo obbligarono ben presto a fare nuovamente ritorno nella sua città. Solo dopo la caduta del fascismo, il cameriere modicano poté assicurare il rilancio del movimento anarchico in territorio ibleo, partecipando innanzitutto ai moti del “Non si parte” contro il richiamo alle armi.
Tra il 1945 e il 1946 Alticozzi fu tra i promotori della nascita a Modica Alta e Modica di ben tre gruppi, denominati “29 maggio 1921” (in memoria dell’eccidio di Passogatta), “Liberi pensatori” e “I senza patria”, che il 20 settembre 1946 fondarono assieme a quelli di Vittoria, Comiso, Ragusa ed Ispica la Federazione anarchica della Sicilia Sud orientale (Fasso), inizialmente aderente alla Fai (Federazione anarchica italiana). La Fasso editò il numero unico di La Diana il 19 dicembre 1946, di cui fu responsabile il fotografo Orazio Lorefice, un militante che emigrerà poi in Venezuela, e nel 1950 alcuni opuscoli, fra i quali il “Canzoniere dei ribelli”. Il cameriere anarchico arrivò a creare nel dopoguerra a Modica Alta la casella postale n. 1 per diffondere la stampa anarchica e comunicare in maniera più riservata, come ci ha confermato l’artigiano ebanista Giorgio Ragusa.
Giuseppe Alticozzi con il consueto cravattino anarchico
La Fasso nei suoi circa cinque anni di vita fu molto presente non solo a Modica, ma anche a livello provinciale e regionale. Compagni di lotte di Alticozzi furono, in particolare, Salvatore Cappuzzello, Rosario Scollo (meglio noto come Saro, che produceva canditi e torroni in via Santa fino agli anni ‘70), lo studente Vizzini, Vincenzo Scapellato, mutilato di un braccio, vessato dai carabinieri e più volte arrestato per le sue reazioni a tali provocazioni (lavorò come bidello fino agli anni ‘80). I militanti anarchici erano alcune decine che assicuravano una partecipazione alle riunioni fino a 20 o 30 elementi, oltre ai numerosi simpatizzanti. Erano più che altro impegnati in conferenze e comizi antimilitaristi, anticlericali, sulle lotte operaie (da “Breve storia degli anarchici a Modica” di Giuseppe Gurrieri sul mensile Dialogo del dicembre 1993).
L’abitazione di Giuseppe Alticozzi in via Santa Chiara nel quartiere Pizzo Belvedere a Modica Alta (Archivio Salvatore Modica)
Il suo impegno non venne mai meno. Fino agli ultimi anni della sua vita si spese per la causa anarchica. Fu infatti tra i fautori del progetto del “Giornale anarchico meridionale”, che si concretizzò nel febbraio 1957 con l’uscita de L’Agitazione del Sud, che inizialmente fu stampata a Modica, e nel 1958, come gruppo di “Iniziativa anarchica”, editò alcuni numeri unici monotematici dai titoli Elezioni 1958, 1° Maggio 1958, La nostra lotta, redatti da Franco Leggio. La sua avventurosa esistenza fu stroncata a 76 anni da un infarto che lo colpì a Modica l’11 febbraio 1963. Il suo corpo venne scoperto dal figlio due giorni dopo la morte. Fu ricordato con due servizi pubblicati nel febbraio 1963 su L’Agitazione del Sud dal titolo “Quelli che ci hanno lasciato. Giuseppe Alticozzi” e nell’aprile dello stesso anno su Giuseppe Alticozzi Cataldi, uomo da non dimenticare”.
Nella ricostruzione della vita e della scelte di Giuseppe Alticozzi Cataldi ci siamo confrontati nel mese di maggio, anche con l’archivio on line Foipa (Freedom of information privacy act) dell’Fbi (Federal bureau investigation) per avere più elementi sulla cause della mega espulsione di circa 500 anarchici della fine del 1922, in cui incappò anche il cameriere modicano. In quasi due ore di navigazione non siamo riusciti ad assumere ulteriori elementi su questo triste capitolo della storia americana. Nella risposta pervenutami anche in cartaceo, il “Bureau” ha chiarito che <i record (documenti, n.d.a.) potenzialmente rispondenti alla tua richiesta sono stati distrutti. Durante la ricerca sono stati individuati record potenzialmente responsivi. Tuttavia siamo stati informati che non si trovavano nelle posizioni previste. Anche un’ulteriore ricerca – ha aggiunto l’Fbi – dei documenti mancanti ha dato esito negativo>.
La risposta dell’Fbi alla richiesta di notizie su Alticozzi e i 500 anarchici espulsi dagli Usa nel 1922
Il “Bureau” ci ha inoltre prospettato un’ulteriore ricerca: <I documenti potenzialmente rispondenti alla tua richiesta sono stati trasferiti alla “National Archives and Records Administration (Nara)>. Qualora esista una remota possibilità di reperire questi documenti, riguardanti <precedenti penali e fedine penali>, bisogna passare necessariamente dal “Criminal Justice Information Services (Cjis), ai quali <i documenti potenzialmente rispondenti alla tua richiesta sono stati trasferiti al Centro nazionale dati del personale>. Quanto alle <informazioni riguardanti una o più terze parti, per favore l’Fbi non confermerà né negherà l’esistenza di tali documenti>, in quanto <si potrebbe ragionevolmente ritenere che il semplice riconoscimento di documenti su soggetti terzi – ha precisato il “Bureau” – costituisca un’ingiustificata violazione della privacy personale>.
Giuseppe Calabrese
In copertina da sinistra Franco Leggio, Giovanni Barone, Giuseppe Alticozzi e Aristide Morales in Corso Umberto a Modica nel 1946
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