Il rigetto dei virologi in Tv discende dal limite tra informazione e disinformazione
Se vi trovate a fare un giro sui social in queste ore vedrete legioni di festanti utenti inneggiare alla decisione del prof. Galli, uno dei virologi maggiormente esposti, a non partecipare per 15 giorni ad alcuna trasmissione in tv.
Un’euforia dettata da una sorta di rigetto per una intera categoria che, se all’inizio della pandemia aveva anche avuto un ruolo didattico importante, nella seconda fase ha praticamente tracimato trasformandosi in una sorta di opinionisti tuttologi, che partendo dai dati delle vaccinazioni arrivavano a parlare di tutto, calcio compreso.
E purtroppo erano quasi sempre forieri di cattive notizie, al punto da deprimere spettatori e conduttori. Bassetti, lo stesso Galli, Zangrillo, la Viola, la Capua, Pregliasco, e compagnia cantante, sono arrivati al punto da avere una sorta di rubrica fissa in alcune delle trasmissioni e dei talk show di massimo ascolto, con l’aggravante di proporre spessissimo posizioni contrastanti al punto da creare grande confusione tra gli spettatori.
Detto questo c’è però un dato che sfugge ai più: per ogni virologo invitato in una qualsiasi trasmissione, c’era un giornalista o un conduttore che lo invitava, alimentando un circuito perverso il cui limite tra informazione e disinformazione appariva sempre più labile.
Ed è proprio il ruolo della stampa in questa fase difficile delle nostre vite che andrebbe esaminato e commentato, anche con una buona dose di autocritica; mai come in questi lunghi mesi giornali e tv hanno dato il peggio: messaggi di tensione e preoccupazione sono rimbalzati, con l’adeguato supporto dei “virologi stars” nelle case di ogni italiano, alimentando un clima di sfiducia e di pessimismo che ha contribuito a fiaccare lo spirito almeno quanto le pesanti conseguenze della malattia.
Per una copia o un click in più, testate un tempo autorevoli non hanno esitato a creare la psicosi dei vaccini, rallentando la campagna, o a diffondere, ammantandole di scientificità, notizie speso artatamente declinate, restituendo l’immagine di un paese incapace di reagire.
La responsabilità di chi fa questo mestiere è oggi ben più complessa di quanto accadeva in passato: la necessità di inseguire e smascherare le fake news, di contrastare eserciti sui social dediti alla disinformazione, di arginare falangi di ignoranti impongono maggiore rigore e serietà.
D’altronde, lo dice un vecchio adagio: “se pensi di sfidare un cretino o un ignorante perderai sempre; prima ti porta sul suo terreno di battaglia preferito e poi ti sconfigge”.
Oggi più che mai abbiamo bisogno invece di un’informazione seria, matura e che, soprattutto, scelga di non cedere, ma resistere, al rigurgito di ignoranza e presunzione che rischia di sommergerci.