Ragusa: bengalese accusato di riduzione in schiavitù e favorire l’immigrazione clandestina, arrestato
Ragusa – La squadra Mobile di Ragusa su delega della Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Catania, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di A. A. cittadino bengalese di 25 anni.
Ferma restando la presunzione d’innocenza fino a sentenza definitiva, l’uomo è accusato di fare parte di un associazione a delinquere con basi in Libia, Bangladesh e Italia finalizzata a ridurre in schiavitù e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina oltre a riduzione in schiavitù,sequestro di persona e e tortura a scopo di estorsione nei confronti di un suo connazionale. Quest’ultimi reati sarebbero stati commessi in Libia.
La delicata e articolata indagine è stata condotta dalla Sezione Criminalità Straniera della Squadra Mobile di Ragusa su coordinamento della Direzione Distrettuale Antimafia è iniziata lo scorso 15 luglio quando l’indagato fu fermato per associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
In particolare, una delle vittime delle condotte delittuose sopra indicate, dopo un periodo di prigionia durato diversi mesi in Libia, dove aveva subito torture disumane e degradanti, a seguito del pagamento da parte dei familiari residenti in Bangladesh di significativi importi di denaro, sarebbe riuscito ad arrivare in Italia, venendo così collocato presso l’hotspot di Pozzallo. Qui avrebbe incontrato l’indagato, a sua volta arrivato a Pozzallo in un diverso sbarco, il quale sulla base delle risultanze investigative sarebbe stato uno dei suoi peggiori torturatori e carcerieri in Libia.
La persona offesa, terrorizzata dal nuovo incontro con il suo aguzzino che aveva chiesto altri soldi ha trovato il coraggio di rivolgersi ai responsabili dell’hotspot e, quindi, di sporgere denuncia per quanto subito durante il periodo di prigionia in Libia.
Le successive risultanze investigative, corroborate dalle dichiarazioni della vittima (rese agli investigatori e confermate poi all’Autorità giudiziaria in sede di incidente probatorio) e dagli elementi probatori acquisiti dall’analisi del cellulare sequestrato all’indagato al momento del fermo, consentirebbero di appurare l’esistenza di un pericoloso network criminale di stanza in Libia, con basi operative anche in Bangladesh e in Italia, dedito alla gestione dei flussi migratori dal Bangladesh alla Libia, sino poi in Italia, e di delineare il ruolo assunto in seno allo stesso dall’indagato, il quale — uomo di fiducia dei vertici del sodalizio — avrebbe svolto i compiti di aguzzino, torturatore e sequestratore. Avrebbe, inoltre, intrattenuto rapporti con i familiari delle vittime al fine di costringerli a versare in favore del sodalizio ingenti somme di denaro. In particolare, avrebbe — insieme con altri sodali non ancora identificati — mostrato, mediante videochiamate, scene di torture di inumana violenza poste in essere ai danni dei rispettivi familiari ed avrebbe quindi chiesto loro, quale prezzo per ottenere la liberazione dei loro cari, il pagamento di ingenti somme di denaro.
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