Sì alle trivelle in Sicilia: le reazioni della politica e il no del Comune di Scicli

Com’era facilmente prevedibile, il via libera da parte del Ministero della Transizione Ecologica alle trivelle per la ricerca di petrolio e gas in buona parte della Sicilia ha suscitato numerose reazioni.

Prevedibile era anche il fatto che se prima dello scoppio della guerra in Ucraina le politiche energetiche, italiane ed europee, erano sempre più indirizzate verso le fonti rinnovabili, adesso molti governi si sono ritrovati nella situazione di dover trovare al più presto alternative al gas che arriva da Mosca.

Alla faccia dei piani ambientali, dei siti Unesco e dei rischi sismici e idrogeologici, oltre il 70% del territorio siciliano, secondo il Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee, il cosiddetto Pitesai, è trivellabile per la ricerca di gas e petrolio.

Le concessioni in attesa sono già numerose e per questo la politica siciliana è sul piede di guerra. Attualmente ci sarebbero: 9 istanze di permesso di ricerca, 2 di concessione, 6 permessi di ricerca che interessano 2.794 chilometri quadrati di territorio, 13 concessioni di coltivazione.

Già 24 Comuni italiani hanno presentato un ricorso contro il decreto al Tar del Lazio, contro le compagnie petrolifere e tra questi c’è Noto. Numerosi sindaci hanno fatto ricorso contro il ministero della Transizione Ecologica, il ministero della Cultura e il ministero dello Sviluppo Economico chiedendo l’annullamento del decreto.

A questi, oggi si è aggiunto anche il Comune di Scicli che si dice favorevole alla riconversione del sistema energetico del Paese dalle fonti fossili a quelle pulite. Il sindaco Giannone ribadisce il suo no ad esplorazioni ed estrazioni che peraltro porterebbero all’estrazione di poche quantità rispetto ai fabbisogni.

A nulla è servito che il livello di rischio sismico nel territorio sia massimo e classificato come “altamente probabile” con possibili effetti nefasti per l’ambiente e la popolazione. Scicli, dunque, ha aderito alla rete dei Comuni contro il PITESAI ribadendo un fermo no ad ulteriori attacchi al territorio e all’ambiente da parte di lobbies che evidentemente hanno nei palazzi romani più potere e forza di convincimento di tanti comuni siciliani.

E’ bene sapere comunque che i lavori per la definizione del Pitesai hanno richiesto tre anni, e sono passati per tre governi: il Conte I, il Conte II e il governo Draghi. Inoltre, il Ministero dell’Ambiente ha lavorato insieme all’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e la società Ricerca sul sistema energetico (Rse), ma anche agli enti locali e territoriali, per mappare il territorio nazionale e valutarne l’idoneità per l’estrazione di idrocarburi in base a criteri ambientali, sociali ed economici. La Sicilia, insieme alla Pianura Padana è la regione più interessata. 


 

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